C’è ancora spazio nella scuola media per un’esperienza didattica che punti dritto al cuore degli uomini, grandi e piccoli, protagonisti di questa scuola ogni giorno? C’è ancora spazio per l’esperienza della scrittura come di un’avventura che non può essere ingabbiata dentro gli schemi e le regole di una testualità che trionfa della sua vuotezza dalle antologie e dall’alto delle indicazioni per i nuovi esami di licenza media? Per un lavoro che sia in grado di generare davvero competenze e non di rientrare nella triste e fredda griglia di un curriculum che il nucleo esterno di valutazione possa poi indicare come il fiore all’occhiello della scuola?
Nel mese di novembre, in concomitanza con lo studio della prima guerra mondiale, come sempre faccio nelle mie classi terze, ho proposto la lettura delle poesie dal fronte di Giuseppe Ungaretti. In particolare la lettura di San Martino del Carso ha aperto la strada a un’inaspettata serie di sorprese. Ungaretti racconta di come il suo cuore sia il paese più straziato, di come nel suo cuore non manchi nessuna croce. Proprio così, dico io, il poeta è il paese di quel dolore che lo circonda e lo abita. Eppure, come dirà ne I fiumi o in Veglia, egli sarà anche un paese attaccato alla vita.
E tu che paese sei? chiedo ad Aurora che mi guarda mangiandosi le unghie, da dentro i suoi pantaloni tagliati e rattoppati, da dentro il suo cuore inquieto di ragazza. Aurora ha risposto e con lei molti altri, tutti. E non me lo aspettavo. Ciascuno di loro si è detto disposto a scrivere qualche riga in cui raccontarsi attraverso questa idea del paese. Se avessi insegnato loro la metafora in un altro modo, forse quella sarebbe rimasta una parola ostile; così invece, attraverso Ungaretti e l’identità che lui trova tra sé e quel paese che gli fa scoprire di sé qualcosa di nuovo, loro hanno capito cosa significa e a cosa può servire. Io dico parole difficili come incremento gnoseologico perché un po’ mi sono persino esaltato, poi torno serio con loro. Non mi sogno neanche di chiedervi di scrivere una poesia, gli dico, non è questo che mi interessa. Mi interessa che voi diciate chi siete — e del resto è un po’ di tempo che questo avviene in vario modo e con vari strumenti nel programma di quest’anno.
Ho dato un compito e l’hanno svolto. Non in versi, ma qualcuno ci è andato vicino. E abbiamo salvato i testi nel pc, li abbiamo proiettati, li abbiamo ingranditi, ognuno di loro l’ha copiato sul quaderno e io ho cominciato a fare domande: avete capito cosa voleva dire davvero Alessia? E’ giusto che lei dica così se voleva raccontare che in fondo si sente lontana e senza nessuno che la guardi con benevolenza, che vorrebbe non essere mai stata sgretolata via come la cima di una montagna? Hanno risposto, prendendosi cura del pensiero di una loro compagna, aiutandosi a renderlo chiaro, efficace, prendendosi cura, in fondo, di lei. Poi sono venute le indicazioni sulle parole: questa no, è troppo banale, bisogna trovarne una più poetica. Perché, chiedo io, ci sono parole più poetiche di altre? Ma qui c’è una ripetizione, ha detto un altro, e un altro gli ha risposto che ci stava, che era un’anafora e ci siamo sorpresi tutti che Federico si ricordasse quella roba lì. Pian piano ci siamo detti che sarebbe stato interessante farla diventare una poesia vera quel testo lì. E anche tutti gli altri.
Cosa sia una poesia vera non lo sappiamo, dico io, ma forse possiamo tentare di fare in modo che queste cose diventino chiare, precise, che ogni parola diventi necessaria per quel luogo in cui si trova e soprattutto possiamo tentare di scrivere qualcosa di onesto, di chiaro e di vero su noi che però, come voleva Ungaretti, conservi quel segreto, quel mistero che solo fa essere poesia una poesia. Così è. Lavoriamo su tutti i testi: è commovente vedere come ciascuno di loro prenda sul serio l’altro e le sue parole, le faccia sue e poi ne suggerisca altre per essere fedele all’altro.
Al suono della campanella, in molte mattinate di sole del mese di novembre, abbiamo spento il computer, chiuso i quaderni, con l’idea che nei giorni successivi avremmo finito. Con l’idea che quel lavoro lì fosse importante e che sarebbe potuto diventare anche una proposta per l’open day di gennaio: fare incontrare ai piccoli delle quinte la faccia di Ungaretti attraverso un video che avevamo trovato su youtube; fare ascoltare la sua voce che legge San Martino del Carso, presentare loro le poesie scritte insieme a partire proprio da Ungaretti. Con l’idea che addirittura avremmo potuto presentarlo ai compagni delle medie l’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze natalizie, se avessimo lavorato sodo. In fondo, quello di scriversi e raccontarsi era un mestiere che stavano imparando anche con l’altro appuntamento di lettura settimanale con il mio romanzo in versi Fuori i secondi.
Sarebbe bello poter dire di loro quello che il mio amico poeta Sebastiano Aglieco dice dei suoi alunni delle elementari: “Ormai scrivono tutti, anche quelli che ci hanno messo più tempo. Non dò più neanche le consegne. Non è un compito la poesia, per loro, ma un desiderio. E’ fuori dai programmi, dalle valutazioni e, in fondo, è un modo per preservarla dall’ignoranza dei cattivi funzionari. E dai cattivi maestri. I miei bambini sono tutti poeti. Sono esseri migliori. Almeno finché staranno con me“.
I miei alunni non sono proprio così. Ma, mentre leggo, non nascondo la mia commozione, spiego loro cosa intendo con commozione: vuole dire essere mossi insieme, capite? Non è una cosa sentimentale, che riguarda l’interiorità. E’ proprio una questione diversa, è che il cuore che batte insieme a quello di un altro mette in azione, ti fa fare, camminare, andare nella stessa direzione. Ecco, ho detto loro, vedete: esiste davvero un modo di leggere e scrivere che diventa necessario. Perché è un modo di prenderci cura di noi e dell’altro, della sua parola e della vita che essa contiene. Ecco allora, apriamo di nuovo il file e ci troviamo tutti i paesi di tutti loro: c’è un altro modo di essere a scuola e di essere al mondo? Grazie Ungaretti, grazie Aglieco, grazie ragazzi, e grazie anche alla poesia che diventa capace di riaccendere la vita e la profezia di un bene dentro questo tempo spesse volte doloroso e scuro.