Una riflessione stimolante, in cui si chiarisce che all’origine della scienza stanno grandi atti creativi che riguardano la matematica, i suoi metodi ed il suo linguaggio. Ne sono esempi la strada per la ricerca della chiarezza concettuale, il ruolo dell’immaginazione nella soluzione di un problema e la creazione dei simboli nella geometria.
L’alba del calcolo automatico
Vorrei iniziare queste considerazioni dedicate alla creatività in matematica ricordando quella che mi sembra la prima occasione storica di riflessione su questi argomenti. Ciò è avvenuto per opera di Blaise Pascal, in occasione delle sue meditazioni sulla macchina calcolatrice che egli aveva inventato (quella che fu chiamata “Pascalina”).
[Immagine a sinistra: Calcolatore di Pascal (1642). I numeri vengono introdotti utilizzando le ruote metalliche in primo piano; la soluzione appare nelle finestrelle visibili in secondo piano]
Al grande filosofo e matematico francese si presentò il problema di pensare al posto che questo strumento avrebbe occupato nella nostra vita, ed ai servizi che avrebbe reso all’umanità.
Egli risponde a questi problemi con un’osservazione che, a mio parere, potrebbe essere utilmente meditata anche da coloro i quali oggi si occupano di quella che viene chiamata “intelligenza artificiale”. A questo proposito infatti Pascal osserva che «la macchina aritmetica può fare delle cose a cui nessun essere animato può aspirare; ma manca di quella qualità di libertà che è tipica del vivente.»(1)
Oggi la tecnologia fornisce strumenti molto raffinati e potenti, i quali ci permettono di compiere delle imprese, teoriche e pratiche, che sarebbero state impensabili fino a pochi anni fa, ma ritengo di poter condividere ancor oggi il giudizio del filosofo e teologo francese: infatti egli ideò e costruì uno strumento il quale non soltanto permette di simbolizzare in forma materiale i numeri naturali (cosa che gli antichi avevano attuato in varie forme, spesso molto ingegnose), ma permette anche di eseguire le operazioni su di essi rispettando quelle regole formali del calcolo aritmetico (in particolare, per esempio, le regole dei “riporti”) che traducono le leggi delle operazioni sui numeri; ma ciò avviene sempre ed esclusivamente su comando dell’operatore. In scala enormemente maggiore, i circuiti elettronici traducono con le leggi della fisica i rapporti concettuali e le operazioni aritmetiche e logiche, ed accade talvolta che i risultati ottenuti appaiano in certo modo inaspettati, ma sarebbe imprudente concludere che ciò sia dovuto ad una libera iniziativa dell’apparato, indipendentemente dall’operatore.
Guardando le cose sotto una certa luce, si potrebbe affermare che la storia della matematica, dai tempi più antichi ai nostri, è la ricerca della chiarezza concettuale e della certezza, e la storia mostra chiaramente che questi valori sono stati ricercati e conseguiti attraverso un continuo processo di libera creatività.
La geometria: immaginazione e logica
Da un certo punto di vista si potrebbe dire che fino al Rinascimento, cioè fino alla nascita dell’algebra, nel senso moderno del termine, la geometria ha costituito forse la parte più importante del pensiero matematico: il trattato degli Elementi di Euclide è stato considerato per secoli un monumento della scienza, per i suoi contenuti e per il rigore logico dell’esposizione.
Sarebbe errato ed ingiusto trascurare le nozioni e le dimostrazioni di aritmetica che si incontrano nel trattato euclideo. Tuttavia si direbbe che la creazione e lo studio della geometria abbiano realizzato quell’equilibrio tra immaginazione e discorso logico che è particolarmente gratificante per qualche mente.
Si osserva inoltre che il pensiero greco non soltanto ha costruito un insieme ammirabile di contenuti matematici, ma ha anche analizzato la problematica filosofica riguardante il metodo della matematica ed i fondamenti del rigore logico con il quale questa dottrina raggiunge i suoi scopi. Infatti già in Euclide, e poi più ampiamente in Proclo, si trovano codificati quei due momenti, di analisi e di sintesi, che costituiscono il metodo fondamentale del ragionamento rigoroso e che scandiscono la strada percorsa dalla nostra mente per dimostrare la verità, e per risolvere i problemi, cioè per ottenere rigorosamente e solidamente delle informazioni(2).
Ora è noto che nel primo stadio di questo cammino verso la verità, cioè quello che gli autori citati chiamano il momento di analisi, tale metodo richiede che si immagini il problema risolto e che si traggano da questa ipotesi le conseguenze logicamente necessarie, fino a che si giunga ad un problema che si sa risolvere immediatamente, oppure ad un enunciato evidente di per sé.
È appena necessario rilevare la parte importantissima che viene ad avere, in questa procedura, la fantasia creatrice, se si tratta di un problema geometrico; ed in generale l’agilità mentale dell’operatore, il quale deve cercare di porsi nella situazione finale della ricerca, per esercitare poi la deduzione.
Questo ruolo importante sostenuto dall’immaginazione, in un campo che si direbbe riservato strettamente alla logica deduttiva, indica forse meglio di ogni altra argomentazione quanto grande sia il valore dell’insegnamento della geometria razionale per la formazione di un atteggiamento scientifico negli adolescenti.
In quest’ambito credo di poter aderire pienamente all’opinione di Hans Freundenthal, il quale, in un’opera che in certo modo corona degnamente la sua lunga vita, dedicata alla ricerca ed alla didattica(3), dichiara senza mezzi termini che l’ostracismo, dato alla geometria da certe correnti recenti di didattica della matematica, è stato un «gravissimo errore storico».
Errore che non rispetta la psicologia, e non presta attenzione allo sviluppo storico della matematica, a partire dalla matematica greca, e nei secoli successivi. Credo inoltre che questo errore possa avere conseguenze nel tempo, per quanto riguarda la formazione scientifica impartita nelle nostre scuole.
A questo punto ritengo utile chiarire che parlando di “creatività”, in particolare di creatività in matematica, non intendo per nulla portare acqua al mulino di quelle recenti mode pedagogiche le quali si compiacciono di esaltare, spesso fuori luogo, lo spontaneismo incontrollato nei giovani.
Questo modo di vedere le cose conduce a risultati che io considero fuorvianti: per esempio ricordo di aver udito una ingenua e sprovveduta educatrice affermare che gli scarabocchi del bambino sono “geometria”; ovviamente non intendo proibire ad alcuno l’impiego di determinate parole, ma vorrei precisare che, con il termine “geometria”, io intendo qualcosa di ben diverso dal puro disegno, e credo di essere in buona ed autorevole compagnia.
Ciò non toglie che il disegno possa servire come punto di partenza per un’ulteriore attività creativa e deduttiva, nella quale tuttavia la componente più importante, ed oso dire addirittura fondamentale, è quella del ragionamento rigoroso: sia questo eseguito, sull’imitazione dei classici, secondo i canoni della logica che impiega il linguaggio comune, sia esso condotto a termine mediante i calcoli, e con l’impiego delle convenzioni della geometria analitica o di altri simbolismi, rigorosamente e coerentemente applicati.
Pertanto, in questo ordine di idee, penso che la celebre parola d’ordine della contestazione parigina di qualche decennio fa, che invocava “l’immaginazione al potere”, sia molto lontana dal favorire un impiego ragionevole dell’intelligenza che Dio ci ha largito.
Il simbolismo matematico
Ho parlato poco sopra del ruolo svolto dall’immaginazione creatrice nel momento iniziale del procedimento classico della soluzione di un problema geometrico: precisamente nel momento in cui si immagina il problema risolto e parte la procedura che i classici greci hanno chiamato di “analisi”. Esiste tuttavia un altro campo nel quale la creatività ha avuto nei secoli, ed ha ancora oggi, un posto importante: è il campo della creazione dei simboli per l’oggetto matematico.
La geometria, su cui abbiamo riflettuto poco fa, ha un simbolismo che si potrebbe chiamare di elezione, ed è costituito dal disegno. Tuttavia è quasi superfluo ricordare ciò che già Platone scriveva autorevolmente, sottolineando appunto la natura simbolica di questo strumento(4).
È risaputo che la potenza dei mezzi moderni di rappresentazione di cui disponiamo consente un’aderenza alla verosimiglianza molto maggiore di quella che si poteva ottenere in passato: è noto, per esempio, che esistono dei programmi didattici per calcolatori elettronici i quali permettono di far eseguire comodamente alle macchine dei disegni sempre più precisi. A tal punto che si potrebbe pensare giustificato l’allarme di chi teme la diffusione dell’abitudine a confondere il disegno con la dimostrazione e di accettare l’accostamento delle immagini come succedaneo del collegamento logico tra ipotesi e tesi, tra definizione e deduzione.
È forse questa una delle conseguenze dell’era tecnologica in cui viviamo, era che da qualcuno è descritta come “civiltà dell’immagine”. E l’allarme di cui abbiamo detto potrebbe essere ben giustificato da parte di chi osservi come questo sfruttamento costante e spregiudicato dell’immagine sia quotidianamente utilizzato da quelli che vengono chiamati “persuasori occulti”. Appunto per questo si vorrebbe sperare che la scuola non segua questo andazzo, ma anzi dedichi i suoi sforzi a conservare il primato dell’intelligenza, della chiarezza, della consapevolezza e del rigore logico, contro chi cerca di sostituirli con la seduzione delle immagini e del richiamo all’inconscio.
La creatività umana nel campo della matematica si è manifestata nei secoli con l’invenzione di simbolismi per indicare i numeri naturali, e per operare su di essi fin dalle più diverse epoche antiche, e nei paesi più lontani tra loro: oggi sappiamo, per esempio, che i Maya avevano un loro simbolismo, così come lo avevano i Cinesi, i Sumeri, i Babilonesi, gli Indiani, lo ebbero i Greci ed i Romani(5); il simbolismo di questi ultimi è ancora oggi utilizzato per certi scopi particolari.
[Immagine a destra: Simboli usati in diversi sistemi di numerazione]
È noto altresì che oggi tutti i paesi civilizzati utilizzano, per l’impiego della tecnica e della scienza, un unico simbolismo: quello che ha avuto la sua origine nell’India e che ci è stato trasmesso dagli Arabi.
Di questo strumento ci serviamo non soltanto per rappresentare i numeri in modo uniforme e facile, ma anche (e sto per dire soprattutto) per eseguire le operazioni elementari su di essi: le regole sintattiche formali per rappresentare i numeri e per eseguire le operazioni su di essi costituiscono i primi contenuti matematici che ogni cittadino incontra nel suo curriculum scolastico e ad ogni cittadino viene richiesto di manovrare tali convenzioni e di memorizzare tali regole. Le quali del resto sono talmente semplici che Blaise Pascal ha potuto, per così dire, trasferirle nella macchina calcolatrice di cui ho detto all’inizio.
Si può tuttavia osservare che l’idea di realizzare con sistemi materiali, di “materializzare”, per così dire, le leggi sintattiche delle operazioni sui numeri ha radici lontanissime nel tempo, e costituisce un’importante testimonianza della creatività dell’intelligenza umana nell’ambito matematico. Ricordo qui, tra tanti altri strumenti, la “Tavola di Salamina”(6).
La matematica strumento della conoscenza scientifica e chiave di lettura del reale
Il collegamento strettissimo tra concetto e simbolo, tra la procedura astratta di deduzione e la sintassi formale del simbolo scelto, mi appare come una delle circostanze che accompagnano nei secoli l’evoluzione della matematica; ed accompagnano anche il suo successo, sia come strumento potentissimo e quasi insostituibile per la scienza modernamente intesa, sia come ineguagliabile strumento di deduzione.
Si potrebbe addirittura dire che questa potenza del linguaggio matematico ne ha fatto la chiave di lettura quasi esclusiva della realtà sperimentale: ciò costituisce un forte stimolo per i rappresentanti di certe correnti didattiche, i quali concentrano la loro attenzione sull’addestramento all’uso del linguaggio piuttosto che sullo sviluppo della personalità razionale dell’allievo. In altre parole, la presenza di strumenti simbolici e logici molto potenti può porre in essere una forte tentazione ad insegnare soltanto “come si fa” per ottenere certi risultati oppure per avere certe risposte, senza preoccuparsi di analizzare perché certi strumenti concettuali funzionano e ricercare quali siano le ragioni fondanti di certe procedure. E quindi la potenza degli strumenti concettuali e simbolici induce spesso a limitarsi ad insegnare come si “opera” invece che ad educare a come si “pensa”, e come si “capisce”.
Chi guardi all’evoluzione storica del pensiero scientifico non può evitare di soffermarsi a riflettere sul significato dell’opera che Cartesio ha dedicato alla geometria. Infatti il pensatore francese ha iniziato un cammino del tutto nuovo nella storia della scienza adottando metodicamente il linguaggio dell’algebra per fare della geometria, rendendo così l’algebra uno strumento fondamentale per la rappresentazione degli oggetti e per la deduzione formale.
È forse questa la ragione per cui la dottrina, creata da Cartesio, viene ancora oggi designata con l’espressione “geometria analitica”: infatti con le convenzioni cartesiane viene realizzato in modo certo e, per così dire, automatico, quel momento di “analisi” di cui abbiamo detto, e che già la geometria greca aveva messo in luce come un momento fondamentale nella ricerca della verità e della risposta ai problemi(7).
Pertanto l’opera di Cartesio costituisce un episodio di creatività intellettuale, che ha provocato una svolta decisiva nella storia della scienza. Lo stesso Cartesio dimostra di essere ben conscio del significato delle sue idee, quando, alla chiusura della sua Géométrie, dichiara che egli rinuncia a trarre tutte le conseguenze possibili dalle sue idee, lasciando agli altri il piacere di applicare i suoi metodi perché egli sa bene di essere inventore non di risultati, ma di un metodo o, se si vuole, si rende ben conto di essere l’iniziatore dell’impiego di un nuovo linguaggio (quello dell’algebra) nella geometria; scienza che, come abbiamo detto, per la deduzione aveva prima di allora impiegato prevalentemente il linguaggio comune, ed i canoni della logica classica.
È noto che l’atteggiamento che Cartesio assume nei riguardi dei contenuti geometrici viene assunto da Galileo nei riguardi della scienza della Natura: in questa luce potremmo dire che Galileo dà inizio ad un metodo fondamentale: la scelta dello strumento matematico come linguaggio privilegiato di tutta la scienza della Natura materiale: infatti, in un celebre passo, Galileo dichiara che la matematica è la lingua in cui è scritto il libro dell’Universo, e quindi è anche la lingua che permette la lettura di questo libro: «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara la lingua e conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.»(8)
Come si vede, all’origine della scienza modernamente intesa stanno grandi atti creativi, che riguardano la matematica, i suoi metodi ed il suo linguaggio. A mio parere, sarebbe molto bello che le nostre scuole trasmettessero non soltanto l’abilità nei calcoli e nella manovra delle procedure, ma anche (e vorrei dire addirittura soprattutto) queste idee, riguardanti il valore della matematica, come chiave di lettura della realtà e strumento insuperabile di conoscenza insieme rigorosa e creativa.
Credo infatti che, proprio per poter meglio utilizzare il progresso della tecnologia, l’uomo debba riaffermare ed esaltare la propria libertà, che si esprime nella capacità creativa.
Carlo Felice Manara
(Professore Emerito di Geometria presso l’Università degli Studi di Milano)
Vai all’articolo in fomato PDF
- La machine arithmétique fait des effets qui approchent plus de la pensée que ce que font les animaux; mais elle ne fait rien qui puisse faire dire qu’elle a de la volonté, B. Pascal, Oeuvres complètes, Paris 1954, p. 1156.
- Cfr. T.L. Heath, The thirteen books of Euclid’s Elements, Cambridge University Press, Introduction Chap. IX,6.
- H. Freundenthal, Revisiting Mathematics Education. China lectures. Edizione italiana con traduzione ed introduzione di C.F. Manara: Ripensando l’educazione matematica, La Scuola, Brescia 1994.
- «I geometri si servono di figure visibili e ragionano su di esse, ma non pensando ad esse, bensì a ciò di cui esse sono le immagini» Platone, Repubblica, 510 d, e.
- Cfr. G. Guitel, Histoire comparée des numérations écrites, Flammarion, Paris 1975.
- Id., p. 189.
- Cfr T.H. Heat, op. cit.
- G. Galilei, Il saggiatore, in La prosa di Galileo, Sansoni, Firenze 1911, vol.VI.
© Pubblicato sul n° 01 di Emmeciquadro