EDITORIALE/ N° 21 – Agosto 2004 – Comprendere la Natura: Modelli e Esperimenti
Una qualità essenziale del ricercatore è la pazienza che non indica passività, ma si accompagna alla precisione e alla meticolosità per esplorare tutte le sfaccettature della realtà naturale

Uno dei primi grandi sperimentatori del Seicento, Niccolò Stenone, nel presentare la sua ricerca allo sponsor, il Granduca di Toscana, sottolineava un’esigenza tipica del lavoro scientifico: quella di un tempo sufficientemente lungo, necessario per vagliare il maggior numero possibile di particolari di un fenomeno e per fronteggiare un’ampia sequenza di imprevisti. Pertanto, una qualità essenziale del ricercatore è la pazienza: un’attitudine che non indica certo passività, al contrario si accompagna alla precisione e alla meticolosità di chi non si accontenta delle osservazioni affrettate e non smette di esplorare tutte le possibili sfaccettature della realtà naturale.
Una ragione più profonda suggerisce di dare risalto al parametro tempo ed è connessa al concetto di modello. Una condizione preliminare del metodo sperimentale è infatti la convinzione che la natura possieda delle regolarità, che il suo comportamento sia descrivibile, che i fenomeni (o almeno buona parte di essi) siano poco o tanto riproducibili. Ma per cogliere regolarità e ripetibilità ci vuole attaccamento all’oggetto della conoscenza e familiarità col fenomeno: bisogna stare di fronte al fenomeno, provocarlo opportunamente e aspettare che la natura stessa mandi un feedback. Solo così il modello che si andrà a costruire avrà un’alta probabilità di corrispondere alla realtà dei fatti.
Per arrivare al modello è richiesto un ulteriore passo, quello di utilizzare gli strumenti adatti per descrivere oggetti e processi naturali; la storia della scienza continua a confermare che la sorgente di tali strumenti va individuata nel fertile territorio delle matematiche. La cosa non è né ovvia né scontata e i tanti studiosi che si sono interrogati sul perché ciò si verifichi hanno trovato solo parziali risposte. È dunque responsabilità di chi è impegnato nell’educazione scientifica non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per far apprezzare la potenzialità della matematica come linguaggio versatile, creativo e al tempo stesso rigoroso per la costruzione e la formalizzazione di modelli. Purtroppo, l’immagine prevalente della matematica è ancora bloccata sull’aspetto parziale e riduttivo del calcolo, della noiosa e fredda sequenza di passaggi che sembrerebbe, a torto, non lasciare alcun spazio all’immaginazione. Ma senza immaginazione appare molto difficile ogni processo di astrazione e di conseguenza diventa impossibile modellizzare.
C’è un’ultima osservazione, che emerge dal contenuto di alcuni contributi presentati in questo numero: anche i modelli sono soggetti a evoluzione, anzi sono per loro natura evolutivi. Qui emerge il ruolo della componente sperimentale della conoscenza scientifica: attraverso l’esperimento infatti un modello viene convalidato o falsificato o, il più delle volte, adattato. L’adattabilità è il paradigma più efficace per descrivere la dinamica del rapporto modello-realtà: tutta l’attività sperimentale non fa che arricchire di informazioni i modelli, consentendone la continua riformulazione e il progressivo adattamento.
Col risultato di aumentare la loro capacità di leggere la natura e di scoprire sempre nuovi indizi che innescano ulteriori indagini; in un esaltante cammino che non conosce soste.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 21 di Emmeciquadro
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