Diritto e diritti nella contemporaneità è il titolo del secondo seminario del ciclo La contemporaneità: conoscerla per insegnarla, svoltosi il 19 febbraio scorso, promosso da Diesse Lombardia. Se la prima puntata, di cui ho già reso conto nel n° 59 – Dicembre 2015 di Emmeciquadro, è stata dedicata al tema della scienza, quello preso in considerazione questa volta, il tema dei diritti nel contesto odierno, è sicuramente un’altra delle sfide culturali, come le ho chiamate nello scorso articolo, a cui siamo chiamati a far fronte come insegnanti.
Prima di entrare in merito all’argomento affrontato, mi permetto di sottolineare un dato, a mio modo di vedere, molto interessante, relativo alla partecipazione. Un centinaio di insegnanti di svariate discipline hanno preso parte a entrambi questi momenti di lavoro e confronto. Un dato che conferma l’ipotesi da cui siamo partiti nell’organizzare tale percorso di introduzione alla contemporaneità: esistono delle questioni importanti che meritano di essere approfondite al di là di quelli che sono gli ambiti specifici della propria disciplina.
L’insegnamento della propria materia, rispetto alla quale certamente sono richiesti un approfondimento e un aggiornamento continui, è favorito anche dalla presa di coscienza della realtà che ci circonda, dalla comprensione del clima culturale del contesto in cui viviamo. Insegnare la letteratura, piuttosto che la storia o la filosofia, o ancora le scienze sperimentali o le scienze umane assume una prospettiva nuova alla luce delle questioni che emergono come urgenti nel panorama odierno.
Naturalmente, le stesse discipline, anche quelle apparentemente più lontane, persino la storia antica o la letteratura classica, possono dare un loro contributo significativo nell’affronto della contemporaneità. In altri termini occorre fare interagire «il sapere della tradizione» (senza il quale non è possibile pensare nessun tipo di insegnamento ed educazione) con «le questioni del presente». Certamente questo può avvenire solo nella relazione tra insegnante e studente ed esige un incontro tra il valore contenuto nei saperi (di cui è fondamentale che l’insegnante sia consapevole) e l’esigenza di conoscenza del vero, per quanto celata e, a volte, soffocata, sempre presente negli stessi studenti.
Tuttavia, questo non può avvenire al di fuori di quello che è appunto il contesto culturale nel quale insegnanti e studenti vivono. Prenderne coscienza non può certo sostituire il lavoro personale, la comunicazione da cuore a cuore della conoscenza, ma probabilmente può aiutare questa dinamica in modo significativo.
Non bisogna, inoltre, dimenticare che gli stessi temi, sui quali si è concentrata l’attenzione in questi primi due appuntamenti del corso sulla contemporaneità (scienza e tecnologia, naturale e artificiale, diritto e diritti), sono tra loro strettamente collegati. Se, infatti, gli interventi a riguardo di scienza e tecnica di Carmine Di Martino, di Carlo Soave e di Mario Gargantini (incontro del 25 novembre 2015, il cui resoconto è stato pubblicato sul n° 59 – Dicembre 2015 di Emmeciquadro con il titolo: Le sfide della contemporaneità) hanno aiutato a capire che non esiste contrapposizione tra naturale e artificiale, tra tecnica e umano, mostrando come sia lo spazio della libertà, della responsabilità e dell’educazione l’ambito dove si decide del significato e del fine delle nostre azioni, è proprio alla libertà, alla responsabilità e all’educazione che occorre guardare per capire quanto è in gioco nelle problematiche attuali a livello di diritto.
Il tema della libertà e della responsabilità, oltre il tema della stessa natura, di un certo modo di intendere il significato di questa parola, trovano nelle riflessioni sul diritto uno sviluppo decisivo.
D’altra parte penso che sia chiaro a tutti quanto il tema del diritto e dei diritti sia ricco di questioni che spesso si intrecciano profondamente con quello della scienza e della tecnica. Se oggi, per esempio, si può rivendicare un presunto diritto al figlio, anche al di là delle possibilità naturali di concepirlo, è proprio perché la scienza e la tecnica lo hanno reso possibile.
Ma cosa è significato concretamente affrontare il tema dei diritti?
La storia recente, la storia del XX secolo, con le guerre mondiali e i totalitarismi, ha sicuramente contribuito a fare capire l’importanza della riflessione sui diritti umani. La storia della seconda parte del Novecento, con il dramma dei popoli dell’est Europa soggiogati dal dominio sovietico, con il loro anelito alla libertà, con i grandi movimenti di dissenso (per esempio: Solidarność, Charta 77), ha reso sempre più chiaro come democrazia e rispetto dei diritti siano inscindibili.
Tuttavia, soprattutto nell’epoca presente, la rivendicazione di una molteplicità di diritti soggettivi ha rotto l’equilibrio tra individuo e comunità, mettendo alla prova il rapporto tra etica e diritto, generando anche forti tensioni.
Esistono o non esistono dei limiti alla proliferazione degli stessi diritti? Come evitare che la stessa rivendicazione dei diritti, in passato proclamati contro le ideologie totalitarie del XX secolo, non diventi oggi la base di una nuova ideologia che, come tale, sarebbe ugualmente disumana? In altri termini, sebbene siamo tutti d’accordo nel riconoscere il valore dello Sato di diritto, come è possibile dirimere le controversie che oggi, sempre di più, sono oggetto di dibattiti e di discussioni?
A partire da tali questioni sono intervenuti il professor Luciano Violante, docente di Diritto pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma – Presidente emerito della Camera dei Deputati e il professor Sante Maletta, docente di Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Bergamo.
Il presidente Luciano Violante ha innanzitutto, attraverso un’ampia analisi sociale e politica, mostrato come siamo di fronte a un cambiamento d’epoca, precisando che «cambiamento di un’epoca vuol dire che stanno mutando alcuni dati strutturali fondamentali del tempo in cui viviamo. Naturalmente questi dati sono meno visibili nella vita quotidiana di ciascuno di noi, anche se la vita quotidiana di ciascuno di noi è fortemente influenzata dal cambiamento d’epoca. Invece sono più visibili quando consideriamo il complesso delle politiche pubbliche».
Ma quali sono questi dati strutturali fondamentali che segnano la nostra epoca? Innanzitutto, il carattere internazionale della politica: «siamo passati dall’autonomia delle politiche pubbliche nazionali all’interdipendenza delle politiche pubbliche. Le politiche pubbliche tradizionalmente avevano un confine che coincideva con il confine degli Stati. Oggi nessuna politica pubblica di nessuno Stato coincide più con i confini geografici dello Stato stesso».
In secondo luogo, il diverso rapporto tra tempo e politica: «le politiche tradizionali erano indipendenti dal tempo. […] Oggi non è la politica a dominare il tempo ma il tempo che domina la politica». In altri termini, la politica deve fare i conti con ritmi che gli sono imposti secondo tempistiche sempre più veloci, difficilmente immaginabili solo una ventina di anni fa.
Conseguenza di ciò è il ribaltamento del rapporto tra rappresentanza politica e decisione: «nel passato la rappresentanza era fondamentale nelle istituzioni politiche, oggi sono fondamentali le decisioni, tanto che i sistemi elettorali, ormai in tutti i paesi, non badano tanto ad avere un Parlamento rappresentativo della pluralità di posizioni che esistono nel paese, ma badano a fare in modo che attraverso il voto si stabilisca un soggetto capace di decidere».
Decisioni prese all’interno del nuovo contesto in cui viviamo, chiamato infosfera, ovvero, come ha precisato sempre Violante, «il complesso di informazioni, dati, notizie della rete nelle quali noi siamo immersi».
Con quali conseguenze? «Nella infosfera ciascuno ha rapporti con un altro, ma rapporti con un altro che sono privi della caratteristica umana del rapporto fisico. […] Ciò vuol dire che siamo connessi l’uno all’altro ma siamo umanamente soli». Tutto ciò contribuisce a generare la crisi della democrazia, come molti studiosi affermano, e a produrre «lo scioglimento del popolo “in folla incomposta”».
Solo tenendo presente questo cambiamento d’epoca, ha sostenuto Violante, diventa possibile comprendere come la proliferazione dei diritti (perlopiù diritti individuali, non diritti di giustizia sociale) e la conseguente disgregazione sociale debbano essere affrontate attraverso una seria riflessione, recuperando il tema scomodo dei doveri, favorendo la nascita di comunità e risalendo al fondamento dei diritti stessi, la dignità della persona.
Sante Maletta ha approfondito, da un punto di vista filosofico, il tema del diritto naturale come vero argine di fronte al moltiplicarsi dei diritti e al rischio di una nuova ideologia dei diritti: «l’ideologia dei diritti umani […] fonda la democrazia su ciò che è incontestabile, ma introduce un elemento di incertezza radicale in quanto i diritti umani vengono riconosciuti come razionalmente infondati e infondabili e ci si accontenta che essi siano accettati come sufficientemente condivisi in un dato momento storico, al punto da essere assunti come una sorta di religione civile, di fideismo secolarizzato».
In particolare, dopo avere fatto alcune precisazioni a riguardo dei diversi significati del diritto naturale (la concezione di natura come istinto; l’idea di natura come qualcosa di statico e definibile una volta per tutte, secondo un’impostazione razionalistica; la concezione di diritto naturale tommasiana), ha mostrato come sia utile recuperare proprio l’approccio tomista al diritto naturale per «costruire quel senso comune senza il quale non è possibile pensare nessuno spazio pubblico».
Interessante notare come il professore Maletta abbia fatto ciò, ricorrendo a Alasdair McIntyre, attraverso un’indagine fenomenologica dell’azione pratica, individuando il fondamento di ogni agire dell’uomo nel perseguimento del fine. Egli ha chiarito come l’esercizio della razionalità pratica consista proprio nel ricercare e nello stabilire l’ordine esistente tra i diversi fini delle azioni umane, inevitabilmente arrivando così a interrogarsi sul fondamento ultimo, su che cosa sia il bene. Rinunciare a questa indagine sul bene, non formulata in termini generici, ma a partire da uno sguardo sull’uomo in azione, significa consegnare la riflessione sul diritto a un’impostazione di tipo positivistico, in cui è inevitabile che la legge stabilisca che cosa sia giusto, al posto di misurare la legge su ciò che è giusto.
Entrambe le relazioni, secondo due punti di vista molto diversi, hanno, pertanto, mostrato come sia possibile cercare di dirimere le controversie attuali, inerenti il tema del diritto, riconoscendo qualcosa che viene prima degli stessi diritti, sul quale è sempre più urgente una approfondita riflessione: il presupposto fondamentale della dignità della persona, il tema dei doveri, la presenza di comunità capaci di educare, la riflessione etica sul bene della persona.
Giulio Luporini
(Docente di Storia e Filosofia nella Scuole secondaria di secondo grado, è membro del direttivo di Diesse Lombardia – Didattica e innovazione scolastica – Centro per la formazione e l’aggiornamento)
© Pubblicato sul n° 60 di Emmeciquadro