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Home » Esteri » America Latina » DIARIO ARGENTINA/ Perché una bimba “figlia” di due donne viene battezzata?

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DIARIO ARGENTINA/ Perché una bimba “figlia” di due donne viene battezzata?

Horacio Morel
Pubblicato 5 Aprile 2014
battesimo_r439

Infophoto

In Argentina una bimba dal matrimonio tra due donne sarà battezzata nella cattedrale di Cordoba. Occorre rinunciare alla verità per non escludere nessuno? HORACIO MOREL

Si chiama Umma Azul e sarà battezzata in questi giorni nella cattedrale di Cordoba, Argentina. La notizia sarebbe priva di qualsiasi rilevanza pubblica, se non fosse che Umma Azul è figlia di un “matrimonio paritario”, cioè celebrato tra due donne col patrocinio della legge, varata quasi quattro anni fa, che permette l’unione tra due persone dello stesso sesso.


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È risaputo che quando papa Francesco era arcivescovo di Buenos Aires e cardinale primate dell’Argentina, sosteneva con decisione  l’atteggiamento pastorale di non negare il battesimo a nessun bambino, a prescindere dalle condizioni familiari.

Benché questa notizia colpisca la sensibilità dei più conservatori e dei sostenitori di una morale collocata principalmente a livello viscerale, la Chiesa non ha negato l’acqua del battesimo nemmeno ai figli di uomini che erano in peccato mortale perché evadevano sistematicamente le tasse o perché avevano lavoratori in “nero”. Perché, allora, farlo in questo caso?


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Nell’agosto del 2011, l’allora cardinal Bergoglio diceva, in occasione dell’apertura del Primo Congresso Regionale della Pastorale Urbana che “solo la fede ci libera dalle generalizzazioni e dalle astrazioni di una visione illuminata che come frutto dà solo altre illuminazioni. Per poter guardare indivise et inconfuse all’altro, al prossimo, la fede aspira a ‘vedere Gesù’. Se ci poniamo in un atteggiamento di carità, possiamo dire che questo sguardo ci salva dal dover relativizzare la verità per poter includere. La città attuale è relativista: tutto è valido e possiamo cadere nella tentazione, per non discriminare, per non escludere nessuno, di sentire a volte necessario relativizzare la verità. Non è così. Il nostro Dio che vive nella città e si coinvolge nella sua vita quotidiana, non discrimina, né relativizza. La sua verità è quella dell’incontro che riscopre i volti e ogni volto è unico. Accogliere persone con un proprio volto e un proprio nome non implica relativizzare valori, né giustificare antivalori, ma non discriminare e non relativizzare implica avere costanza per condividere i cammini e pazienza nell’attesa che aiuta a crescere. La verità di chi accompagna è quella di mostrare il cammino per andare avanti, più che di giudicare gli errori commessi in passato. Lo sguardo dell’amore non discrimina, né relativizza, perché è misericordioso. E la misericordia crea la vicinanza maggiore, che è quella dei volti, e poiché vuole aiutare veramente, cerca la verità che più fa male – quella del peccato – per trovare la correzione vera. Questo sguardo è personale e comunitario e crea strutture accoglienti e non escludenti. Lo sguardo dell’amore non discrimina, né relativizza, perché è uno sguardo di amicizia. E gli amici si accettano così come sono e gli si dice la verità.


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È anche uno sguardo comunitario. Induce ad accompagnare, a riunire, a essere un di più. Questo sguardo è alla base dell’amicizia sociale, del rispetto delle differenze, non solo economiche, ma anche ideologiche. È anche alla base di tutto il lavoro del volontariato. Non si possono aiutare gli emarginati se non si creano comunità accoglienti. Lo sguardo dell’amore non discrimina, né relativizza perché è creativo. L’amore gratuito è il fermento che mette in moto tutto ciò che c’è di buono e lo migliora e trasforma il male in bene e i problemi in opportunità. Queste tre caratteristiche dello sguardo non sono frutto di una descrizione tediosa, bensì di un discernimento che proviene dall’‘oggetto’ (il Signore resuscitato) che contempliamo e della persona che serviamo. Un Dio vivo nel mezzo della città richiede un approfondimento nel cammino di questo sguardo”.

Secondo il Pontefice, la Chiesa non può insistere solo sul divorzio, l’aborto o gli anticoncezionali: non sono temi che hanno la stessa importanza, né sono slegati dall’annuncio missionario primario. C’è un modo di insistere su queste cose che fa perdere il profumo del Vangelo, mentre è da questa proposta di vita affascinante e attraente, dalla bellezza imponente del cristianesimo, che possono nascere poi le conseguenze morali. Il Papa dice che la Chiesa è alla ricerca di un nuovo equilibrio, nel quale possa trasmettere il messaggio cristiano, conformemente alla situazione attuale.

Benché alcuni media che si occupano del Vaticano abbiano pubblicato la notizia del battesimo di Umma Azul giustificandola con la decisione dell’allora cardinale di Buenos Aires di celebrare il battesimo in tendoni allestiti per la strada, si tratta di presupposti ben diversi. Una cosa è la già commentata decisione pastorale di non escludere dal battesimo nessun bambino e un’altra, molto diversa, è quella del modo ideato a Buenos Aires per facilitare il battesimo degli adulti.

È successo, ed è un’abitudine, che alcune parrocchie della città e anche il seminario arcidiocesano allestissero tende nelle piazze di Buenos Aires, o lungo il tragitto del pellegrinaggio mariano a Lujan, e che in esse si impartisse una catechesi “express” e si battezzassero adulti che lo richiedessero senza un percorso catecumenale tradizionale. In questi casi, si amministra il sacramento e si dà luogo a una catechesi “post-battesimale”, seguendo l’esempio dell’etiope battezzato dall’apostolo Filippo sulla strada tra Gaza e Gerusalemme, quando dopo aver ricevuto dalla bocca di Filippo il kerigma e senza nessun altra preparazione lo straniero domandò: “Qui c’è dell’acqua: chi mi impedisce di venir battezzato?” (Atti 8, 26-39). 

In una nota di Gianni Valente pubblicata su 30 Giorni tre anni fa, il vescovo ausiliario di Buenos Aires Eduardo Horacio Garcia giustificava questa prassi sacramentale non solo con il sopra citato racconto biblico, ma anche con l’intenzione di “passare da un’idea di Chiesa come regolatrice della fede a una Chiesa che facilita la fede stessa”.

Nel caso dei bambini, la chiave sta in uno sguardo di amore non discriminante. Nel caso degli adulti, in una decisione pastorale che parte dalla constatazione che la gente non frequenta più le chiese, anche se è certamente necessario un maggior approfondimento per non sminuire la decisione trascendentale di accettare Gesù Cristo come significato totale della propria vita, espressa con l’adesione alla Chiesa.


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