In attesa del vertice di domenica, ad Atene si vivono ore di drammatica attesa, con corse ai negozi, oltre che ai bancomat. Il racconto di SERGIO COGGIOLA
Ore drammatiche. Ieri, la squadra di ministri-redattori ha scritto, cancellato, riscritto, aggiunto notazioni alla proposta che Atene presenta ai creditori. Sembra, oggi giovedì, che le misure tocchino i 10-12 miliardi, in cambio di un prestito di 60-80 miliardi. Chi voterà a favore? “Voto secondo coscienza”, ha affermato il portavoce del governo, rivolto ovviamente ai suoi colleghi di partito. Appellarsi alla disciplina di partito? Mettere a tacere quei ministri e parlamentari che sbraitano per la “rottura”? Non se ne parla. Syriza è un partito polifonico. Comunque, il 25 giugno, Atene propose tagli per 8 miliardi (tutte tasse e niente tagli alla spesa pubblica). A dicembre del 2014, i tagli richiesti erano dell’ordine di 1,5 miliardi. Superato questo scoglio, la Grecia avrebbe ricevuto 7,2 miliardi e sarebbe entrata in un limbo finanziario protetto, con un dato positivo di crescita superiore al 2%, stando ai dati dell’Ue. In questa camera di compensazione è entrata, pochi giorni fa, Cipro: Nicosia ha fatto i suoi “compiti a casa” e si avvia al pieno controllo delle sue finanze.
Un giornale elettronico, sempre ben informato, “thetoc” e l’inglese “Guardian”, scrivevano ieri che Monsieur Hollande ci ha messo tanta pazienza per aiutare Alexis Tsipras a uscire dal buco in cui si era cacciato, e ha offerto la consulenza di sette suoi esperti del ministero francese delle Finanze per aiutare i colleghi ellenici nella redazione della bozza di accordo. Una mezza conferma è poi arrivata da anonime “fonti governative”.
Nulla di strano. Le stesse consulenze tecniche straniere vennero in soccorso sia di Jorgos Papandreou, sia di Antonis Samaras. “State certi che alla fine saranno gli stranieri a scrivere le nostre proposte”, ebbe ad affermare, in tempi non sospetti, un giornalista piuttosto scomodo (è stato espulso dall’associazione del giornalisti di Atene con l’accusa di essersi schierato “troppo” per il “sì”). Si mormora anche che i francesi abbiamo redatto un paio di modifiche contenute nella lettera indirizzata all’Esm (Fondo europeo salva-Stati). È la seconda richiesta di finanziamento, firmata questa volta dal nuovo ministro delle Finanze, Efklidis Tsakalotos. Nella prima, firmata da Yanis Varoufakis, Atene prevedeva una clausola: la Grecia avrebbe pagato le rate del debito soltanto quando il Paese avesse raggiunto un avanzo positivo. Lettera respinta al mittente perché contravviene allo statuto del Fondo. Scelta lucida con un obiettivo preciso o errore grossolano?
E già sull’ex ministro piovono pesanti critiche su come ha condotto le “trattative” (tra virgolette perché per quattro mesi ha tenuto ai colleghi europei lezioni private di economia teorica, imbastite da pubbliche dichiarazioni che hanno portato al “top” il suo personale indice di gradimento). Scrive “To Vima”: “Ha fallito nel prevedere che di fronte alla minaccia di una Grexit le borse sarebbero crollate e gli europei avrebbero ceduto. Ha fallito pensando che la Grecia avrebbe ricevuto finanziamenti da Russia, Cina e Venezuela. È andato a fare il bullo con gli europei”. Accuse sostenibili, ma quanti giornali, quasi tutti, hanno festeggiato la sua nomina a “zar”, pensando che la sua faccia tosta e il suo bagaglio filosofico-economico avrebbero portato a casa risultati convenienti per tutti! Nessuno hai mai riflettuto sul fatto che quelle camicie dai colori sgargianti (blu elettrico nel suo incontro con l’omologo inglese e francese) nascondessero un approccio “drogato” alla realtà fattuale dell’economia ellenica. Lui è la dimostrazione del postulato di McLuhan: “Il medium è il messaggio”. Vale anche il detto cristiano “L’abito fa il monaco”. Purtroppo, si è limitato a predicare, quando il suo mandato era quello di negoziare.
Banche chiuse, code ai bancomat, strade ateniesi deserte, poche macchine e lunghe file di taxi in attesa di un cliente. Tutti usano i mezzi pubblici. Sono gratuiti fino a domenica. Lunedì le banche riapriranno? È un’altra promessa del governo. Una piccola indagine di mercato. Nei grandi “mall” della capitale è la corsa all’acquisto: televisori, frigoriferi, cucine, telefonini, capi firmati. Le gioiellerie del centro fanno affari d’oro. Si può pagare con la carta di credito. Se invece si vuole acquistare un libro da Amazon è impossibile. Il sito, dopo che il cliente ha compilato la richiesta di acquisto con carta di credito, invia una email in cui si legge: “Desideriamo informarti che stiamo incontrando difficoltà nell’elaborazione del pagamento pertanto non siamo in grado di procedere con l’ordine Kindle (#D01-2020062-0268552)”. Greci irresponsabili? No, preoccupati che si arrivi al prelievo forzoso dai conti correnti – e chi crede ormai più alle dichiarazioni dei ministri?
Ma tra i corridoi di questi grandi magazzini l’atmosfera non è gioiosa. Non ci si saluta più dicendo “buongiorno” o “buonasera”, ma “che Dio ci aiuti”, o “buona fortuna”, oppure “speriamo bene”. La parola “paura” non è sufficiente a descrivere il sentimento del greco che incontri in coda al bancomat (chi scrive sta esagerando? No, potrebbe però aver parlato solo con interlocutori pessimisti). Che lui abbia votato “si” o “no” poco importa. Aspetta di conoscere il suo destino. Neppure a casa trova pace: ogni canale televisivo trasmette in diretta, quasi tutto il giorno e minuto per minuto, ciò che accade alla Presidenza del Consiglio, a Bruxelles, si valutano le parole che arrivano da Berlino, o da Parigi.
Da Roma silenzio assoluto: se Renzi, com’è successo l’altro giorno, sta facendo le sue dichiarazioni, prima di entrare nella sede dell’Ue, per il vertice europeo, scatta la pubblicità. E tra un collegamento esterno e un altro, ecco in studio professori di economia che spiegano la situazione, commercianti che si lamentano, albergatori che sono proprio arrabbiati. Tra loro compaiono anche i parlamentari. Meglio non ascoltarli. Per molti di loro, si intende “syrizei”, non è successo nulla, hanno ancora in bocca il gusto della vittoria.
I fatti diranno se hanno ragione loro. Ad esempio, il vice presidente del Parlamento, Alexis Mitropoulos, ha descritto ieri in toni drammatici la situazione del Paese. Per inquadrare chi parla (dal suo profilo biografico sul sito del Parlamento Ellenico): “Professore all’Università di Atene. Laureato in legge, filosofia e scienza della politica. Parla inglese, russo, serbo-croato, francese”. In sintesi, teme una “bulgarizzazione” della Grecia. Osservando le lunghe code di Atene, o di Salonicco, o Patrasso, davanti ai bancomat, sembra effettivamente di essere in Bulgaria, ma in quella socialista. E viene alla mente quell’aforisma di un cinico inglese: “Il vizio inerente al capitalismo è la divisione ineguale dei beni; la virtù inerente al socialismo è l’uguale condivisione della miseria”.