Nella complessa vicenda dei flussi migratori si sommano caratteristiche di un’epoca di cambiamenti e madornali errori di prospettiva. Errori sono stati da parte italiana aver creduto possibile scaricare sulla dimensione europea l’ondata migratoria, quasi che i trattati prevedano una natura comune delle frontiere esterne, ed ancor più aver supposto che non fosse necessario un’accordo per la rotta mediterranea che facesse il paio con quello Ue-Turchia per la rotta balcanica. Risultato: 84 per cento dei flussi sulla rotta balcanica prima di quell’accordo e 97 per cento sulla rotta che proviene dalla Libia, dopo. 



Non solo. La risposta italiana ed europea somiglia all’atteggiamento di chi si ostina a risolvere il problema della cucina allagata asciugando ossessivamente il pavimento senza mai chiedersi cosa origini la perdita. Ed i rubinetti della crisi umanitaria non sono in Libia bensì nel Corno d’Africa ed in Niger. Operare azione di contenimento significa quindi non ripiegare su soluzioni di basso profilo ma rifiutare la dicotomia fuori da ogni realismo di chi vuole dare tutto a tutti piuttosto che chiudere i porti anche ai richiedenti asilo. 



Ci sono già dei casi a testimoniare la maggiore complessità della partita politica: in Grecia, Alexis Tsipras vince a suon di referendum guidando il “popolo” alla rivolta contro la troika e poi, a conti fatti, si trasforma nel giro di pochi mesi nell’esecutore materiale del programma sovranazionale; la Brexit trionfa alle urne al grido di take back control! ma si annacqua nella trattativa con Bruxelles e dopo oltre un anno ancora non si vede un chiaro indirizzo sui termini e la portata del negoziato; in Austria i “moderati” socialdemocratici minacciano di schierare l’esercito per chiudere le frontiere con l’Italia; lo stesso Donald Trump, al netto delle disavventure domestiche, non è riuscito a mostrare ancora quanto proclamato nel suo programma elettorale sia a livello di immigrazione che di commercio internazionale.



Allo stesso tempo, non si può governare con il pilota automatico dell’apertura e dei diritti universali, come se nulla fosse cambiato in questi anni di crisi economica e sbarchi, come se i cambiamenti dell’opinione pubblica non siano una spia d’allarme importante per la salute dei partiti moderati.

L’esempio vale anche al contrario e, sul punto, è rappresentativo il comportamento di Emmanuel Macron. Eletto — e presentato dai media — come un liberal dalle ampie vedute europeiste, una volta preso il ponte di comando dell’Eliseo il giovane enarca ha mostrato un gollismo che non si respirava da decenni: cantieri navali “nazionalizzati”, chiusura a migranti economici e niente porti aperti alle Ong, proposta di un Buy European Act per contrastare la concorrenza asiatica. Interesse nazionale prima, interesse europeo poi, globalizzazione in fondo a destra. Un segno che la storia non è divisibile in due: la dicotomia aperto contro chiuso non regge, il dualismo sovranismo vs globalismo non sta in piedi quando scendiamo nella realtà.

E per fortuna che questa rappresentazione non funziona, perché spostare la complessità del mondo presente nello schema aperto-chiuso risulta pericoloso. L’apertura indiscriminata, l’universalismo dei diritti umani senza confini, ha fornito carburante ai partiti anti-establishment, ma la chiusura totale, il sovranismo, risulta un’utopia irrealizzabile e dannosa quando arriva nelle stanze del governo. Se è vero che la globalizzazione e l’integrazione sovranazionale dei capitali e del diritto non può essere smantellata, e sarebbe disastroso farlo, è altrettanto vero che non esiste alcun obbligo all’accoglienza dei migranti, perché questa politica rischia di essere il modo migliore per legittimare lo spirito politico della chiusura totale (dei confini, dei mercati, delle istituzioni europee).

Esiste una terza via? Esiste una strategia del contenimento che accompagni i cambiamenti politici evitando lo scivolamento verso la chiusura totale che distrugge la società liberal-democratica o verso l’apertura indiscriminata che travolge le identità e alimenta l’intolleranza?

Macron sembra essere il primo leader europeo ad essere arrivato al punto. Siamo ancora a livello di comunicazione, non c’è riscontro fattuale, ma il presidente francese ha capito che bisogna mescolare le carte per evitare l’implosione politica delle democrazie occidentali. Controllo dei confini dall’immigrazione selvaggia, riforme che rimodellino il welfare a favore dei non-garantiti, costruzione di un’alleanza tra democrazie “compatibili” (la fortezza Europa più Trump e Trudeau) con qualche concessione alla Russia di Vladimir Putin.

Dopo anni il governo Renzi-Gentiloni sembra essersi accorto dell’emergenza immigrazione su cui tutti gli avversari si stanno posizionando e su cui si giocherà la partita elettorale. Ad oggi, però, Palazzo Chigi è stato isolato da Francia e Spagna che non aprono i porti ai migranti. Anzi, le frontiere degli stati confinanti iniziano a chiudersi e l’immigrazione rischia di essere derubricata a problema italiano. Nel 2016 su 38mila immigrati clandestini ne sono stati rimpatriati poco più di 5mila, mentre un rapporto dell’Istat informa che se continua a questi regimi l’ondata migratoria porterà in Italia 14 milioni di immigrati in meno di cinquant’anni. Dal canto suo, il Pd di Renzi sbandiera lo ius soli in Parlamento che secondo un sondaggio Ipsos vede contrario il 54 per cento degli italiani. Altra benzina nel motore dei partiti anti-establishment, a cui si aggiungono le immagini delle stazioni centrali delle due principali città italiane, Roma e Milano, dove l’immigrazione irregolare e mal gestita prolifera, colonizza, aumenta la percezione dell’insicurezza. Senza una policy di respingimento immediatamente azionabile di contrasto all’immigrazione i partiti “moderati” rischiano di farsi male alle urne. Lo ha capito Silvio Berlusconi, più svelto dei suoi partner, che propone di fermare l’emorragia e di intervenire in Libia.

La credibilità e la salvezza elettorale dei partiti moderati si giocano sulla strategia del contenimento, sulla capacità di prendere decisioni “forti”, di condizionare i partner europei, non sulle acrobazie retoriche dell’apertura e della chiusura, dei globalisti vs sovranisti, dei liberal vs illiberali. Il consenso non aspetta e non ragiona con le dicotomie moraleggianti. È frutto invece del realismo inteso non come approccio cinico ma come lo stare alle condizioni delle circostanze. Ineludibili ma veritiere.

Altro che solidarietà degli Stati Ue! L’egoistica posizione dell’Austria, pronta a schierare l’esercito al Brennero con quattro mezzi corazzati già in attesa, mentre il governatore tirolese afferma che se necessario ignoreranno le norme dell’Unione Europea, è soltanto l’ennesima dimostrazione che l’aiuto all’Italia per fronteggiare l’emergenza migranti resterà lettera morta. Il tutto mentre nelle stesse ore la Francia e la Spagna annunciano che sono contrarie all’idea di permettere lo sbarco nei loro porti e la neutrale Svizzera fa sapere che rafforzerà i controlli. Per non parlare di chi non ha mai fatto mistero che, nonostante le procedure di infrazione, non muoverà un dito.

L’indagine conoscitiva della Commissione Difesa del Senato ha dimostrato che la presenza delle navi Ong a 8, 10 e 12 miglia dalle coste libiche, quindi sul limite ed entro le acque territoriali, in accordo con quanto già sostenuto da Frontex, svolge la funzione inaccettabile di pull factor del criminale traffico di esseri umani più che del flusso migratorio che risponde a logiche economiche. Le Ong hanno modificato il quadro intero: non si tratta più di soccorso in mare di natanti fatiscenti diretti in Europa, quanto di mero traghettamento dalla Libia per un breve tratto fino alle navi delle Ong su canotti sempre più economici e pericolosi, in una gestione a volte oscura del raccordo fra soccorritori e soccorsi. Risultato finale: più partenze, anche in condizioni proibitive, e più morti in mare. Non possono essere delle organizzazioni private, per quanto volte alla solidarietà, ad affrontare il fenomeno migratorio nella sua complessità senza un coordinamento. 

Il governo italiano deve rivedere ora le proprie strategie. E proporre alle forze politiche una sostanziale unità di intenti in assenza della quale l’Italia è destinata a soccombere.