POPULISMI/ Voto in Olanda: da dove viene il successo dell’islamofobo Baudet?
Il voto provinciale in Olanda ha molto da insegnare: la destra di Baudet vince grazie al nullismo di una democrazia senza valori (quella del premier Rutte)

“Forum voor Democratie” (FvD) ha vinto. Thierry Baudet è riuscito a giocare bene le sue carte, all’indomani dei tragici fatti di Utrecht, città importante di un Paese come l’Olanda, che si vanta di essere un modello di integrazione e convivenza multirazziale. I risultati delle elezioni provinciali aprono un altro scenario. E’ un mondo che da tempo si articola attorno ai limiti oggettivi di un establishment nazionale visto come un pendant dell’eurocrazja, che perde pezzi ad ogni piè sospinto.
Ma ciò che merita attenzione, al di là del significativo esito elettorale, è il profilo di Baudet. Il politico, che non ha neanche quarant’anni, viene dipinto come un reazionario nostalgico di un eroico nazionalismo che, tra parentesi, in Olanda non ha mai avuto cittadinanza. Quindi, ancora una volta, il film che le élites progressiste stanno guardando è sideralmente lontano dalla realtà. Baudet parla lo stesso linguaggio di un Jordan Peterson, il professore di psicologia canadese che, dopo essersi opposto al politically correct di casa sua, è diventato una star del web. Questo pensiero, che attacca a fondo il “marxismo culturale”, viene ridicolizzato e inscritto nella cosiddetta “Alt Right” o destra alternativa, di matrice Usa, ma quest’operazione smaschera il nullismo culturale del progressismo europeo-occidentale. Lo sradicamento dei popoli, con il massacro delle tradizioni, ha fatto fuori il nesso individuo-comunità e, di conseguenza, la rappresentanza politica è diventata uno scheletro vuoto. Prima si perde sul terreno culturale, poi cede l’assetto sociale, quindi frana la politica. Funziona così, nella storia. Ecco perché un filosofo come Karl Popper, proprio il teorico della “società aperta”, ha tematizzato l’idea di un fondamento razionale delle tradizioni, tanto antropologiche quanto scientifiche.
Quindi, ancora una volta, la sconfitta viene da lontano. Baudet, al pari di Wilders, mutatis mutandis, non è un mostro e un mutante, figlio di un Dio minore, ma dà voce, seppur ancora reattivamente, a bisogni, desideri ed aspettative di una società iper-moderna come quella olandese che si auto-celebra, da un lato, e dall’altro perde pezzi, anche sul terreno del welfare.
Baudet scrive libri, viene da una famiglia multietnica, origini francesi e indonesiane, non c’entra niente il ceppo autoctono. Quest’uomo è un europeo a tutto tondo che fa politica e dunque usa anche strumentalmente i fatti di Utrecht per sparare a zero contro il primo ministro Mark Rutte. Ma il fatto è che riesce a vincere anche perché Rutte è debole e non ha dimostrato di avere qualità strategiche e politiche tali da mettere all’angolo i suoi oppositori.
Wilders è stato attaccato perché considerato “islamofobo”, soprattutto dopo aver accostato il Corano a Mein Kampf, come se i Fratelli musulmani non avessero sfilato insieme allo stato maggiore del Reich già nei primi anni Trenta. Chi conosce la storia e, dunque, ha cultura, lo sa. Quindi, non è Wilders ad essere culturalmente debole, è la democrazia senza radici, orizzonti e verità da difendere e per cui vivere, ad esserlo. Tutto qua. Contra factum non valet illatio.
A conferma di quanto sostengo, si legga l’articolo di un “autorevole” sito dell’establishment ideologico-culturale progressista olandese, oggetto il “pericoloso” Baudet. Se questi sono gli argomenti “culturali” di questa ex “razza padrona”, allora davvero si aprono praterie per il nuovo protagonista della politica olandese.
Dopo aver conquistato le praterie politiche dei Paesi Bassi, Baudet, e ciò vale anche per Wilders, dovranno cessare di vivere di ciò a cui si oppongono e trasformare la reattività politica in strategia politico-culturale articolata e capace di governo. Perché, sia chiaro, non basta fare man bassa di voti: la politica conta i numeri ma vive di idee, strategia e visione di medio-lungo periodo. Su questo crinale tutti gli attuali protagonisti anti-Ue rischiano di perdersi. Vale quello che ha detto Viktor Orbán, premier ungherese, quindi un “fratello” della causa nazional-euroscettica, di Salvini: “Non ha strategia”.
Ecco, dopo la pars destruens, questo è il limite vero dei nazional-euroscettici. Perché i “confini”, come insegnava Kant, hanno la stessa caratteristica del “confino”: ti ricacciano indietro, in uno spazio angusto, come se la questione delle radici fosse una questione, appunto, territorial-provinciale e non, invece, l’esito storico-ideologico del suicidio della modernità, politica inclusa.
Per ora, comunque, una cosa è certa: chi si lega a doppio filo all’Ue, oggi, non ha più un vantaggio competitivo da spendere. Ecco il dato emergente, anche dalle elezioni provinciali olandesi.
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