EUTANASIA/ Come evitare che la “libertà di scelta” diventi nemica della vita

- Lorenza Violini

Passione per l'uomo contro cultura dello scarto: che cosa ci porta a considerare una vita non più degna di essere vissuta?

Referendum eutanasia legale Marco Cappato, Referendum eutanasia legale (LaPresse)

Passione per l’uomo o cultura dello scarto? Di questa drammatica alternativa discuteranno al Meeting di Rimini mons. Piero Gallo, che enucleerà, dal Magistero, gli elementi fondamentali del pensiero della Chiesa sulla vita e la sua tutela da concepimento fino alla morte naturale;  l’on. Domenico Menorello e il dott. Domenico Airoma, che metteranno in luce la problematicità che circonda il tentativo di dare forma giuridica alla tutela della vita, vista la grande pluralità di concezioni e di valori che informano l’odierna società plurale; e due medici palliativisti di grande esperienza, il dott. Marco Maltoni e il dott. Andrea Manazza, che mostreranno come sia possibile sostenere e aiutare fino alla fine i propri pazienti, vivendo nel quotidiano quella passione per l’uomo e per il suo destino che è la base di una società autenticamente solidale.

L’incontro, nel suo insieme, si propone di mettere in luce alcuni aspetti del tema che passano spesso sotto silenzio sui media, i quali puntano sulla sensazione e sui sentimenti di pietà che destano certi casi particolarmente delicati e problematici e che, effettivamente, lo sono. Si pensi ad esempio alla persona che è stata accompagnata in una clinica svizzera da Marco Cappato, come era successo in passato per dj Fabo, il quale si è poi autodenunciato per aver commesso il reato di aiuto al suicidio. Si pensi a persone che vivono condizioni di grande sofferenza e che hanno richiesto l’aiuto al suicidio.

Tali richieste al sistema sanitario pubblico tentano, con l’aiuto della associazioni favorevoli all’introduzione nel nostro ordinamento di pratiche eutanasiche, di dare applicazione diretta alla sentenza della Corte costituzionale prima che sia stata emanata dal Parlamento una legge in materia, pure ripetutamente richiesta dalla stessa Corte.

Come è noto, la Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma del codice penale sull’aiuto al suicidio ma limitando l’incostituzionalità a determinati casi e ribadendo il dovere dell’ordinamento di tutelare la vita come diritto fondamentale contro i tentativi di diminuirne il valore ultimo; i giudici della Corte hanno energicamente ricordato la necessità di avere un sistema efficiente di cure palliative, finalizzate ad alleviare le sofferenze che possono essere presenti, in alcuni casi, nei momenti finali della vita della persona, e che sono di fondamentale importanza per un approccio autenticamente umano e solidale alla materia.

In presenza di tanto clamore mediatico, è quanto mai importante che si sviluppi un dialogo sereno e aperto sul tema, che ha un’importanza cruciale non solo per il singolo ma anche per la società tutta. Siamo in presenza di un clima culturale in cui ogni alternativa all’enfasi sulla libertà di scelta viene percepita come paternalismo o, in alcuni casi, persino come insensibilità di fronte al dolore, quasi si voglia imporre a malati terminali e affetti da gravi sofferenze e disagi di continuare a soffrire senza offrire loro sollievo alla loro sofferenza, morale o materiale.

In realtà, non vi è mai da parte di nessuno il tentativo di sottrarsi al dovere di soccorrere chi sia nel bisogno; al contrario: l’esistenza di una legge che vieti l’omicidio del consenziente è finalizzata ad offrire alla vita quella tutela che è necessaria perché la vita possa essere degna fino in fondo, considerando che ogni vita lo è. Quando poi si afferma che la stessa vita sia un bene “indisponibile” non si vuole affermare una astrazione, del resto giuridicamente inconcepibile, ma molto più realisticamente mettere in luce che esistono pericoli a cui ciascuno va incontro se si lascia libero spazio alla volontà (in questo caso di morire per mano altrui o da altri favorito). E, infatti, la richiesta di morte può nascondere paura, disperazione, solitudine o persino una sorta di pressione che spinge la persona in una situazione di malattia e di fragilità a considerare il “diritto di decidere” come l’unica alternativa per non essere di peso ai propri cari.

Come contemperare il rispetto della libera volontà della persona, che deve restare al centro del rapporto di alleanza tra medico e paziente, e la necessità di tutelarla fino in fondo dai rischi che va incontro chi, in uno stato di sofferenza, può essere indotto a considerare la morte come l’unica possibilità di uscire dalla sua situazione? Come evitare che, sancendo un diritto alla morte, questo non finisca per essere considerato una sorta di dovere, finalizzato a non gravare sui propri cari e sulla società tutta?

Alcuni di questi problemi saranno discussi durante l’incontro, soprattutto quelli relativi alla cultura dello scarto che si ingenera quando si suppone che vi siano vite non più “degne” di essere vissute (e quindi non degne del massimo del supporto e della cura). Questa visione non dovrebbe apparire come l’unica culturalmente praticabile: occorre, invece, lasciar spazio a visioni che facciano della della passione per l’uomo, fino all’ultimo istante, non l’occasione per una eliminazione, bensì il motore che muove a mettere in atto tutte le cure e la attenzioni grazie alle quali anche la fine della vita sia un momento “degno” di essere vissuto, un momento che compie il percorso dell’esistenza, assecondando un desiderio che è di tutti, quello cioè di essere amati e accompagnati fino alla fine.

La passione per l’uomo comporta lo spazio per la ricerca del senso, che caratterizza tutti gli istanti dell’esistenza. Questo non ha come necessaria precondizione la fiducia in un destino buono che attende dopo la morte: anche per i non credenti, se vorranno, questa proposta può essere di interesse, come molte delle testimonianze di chi si impegna a curare fino in fondo i propri pazienti stanno a dimostrare.

È certo: non si tratta, parlando di fine vita, di condannare o assolvere, di creare muri e di stigmatizzare. Quello che interessa è proporre con umiltà una visione orientata a mostrare che esiste, oltre l’autonomia e la libertà di scelta, una solidarietà paziente, competente e appassionata che, davanti alla richiesta di morte, sa offrire una risposta meno cruda, meno definitiva, che non si limiti a recidere l’ordito ma accompagni e sostenga con tutti i mezzi a disposizione – e ce ne sono – perché si possa giungere ad una fine che sia il compimento profondo del proprio percorso umano.

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