Non si è ancora trovata una soluzione per l'ex Ilva e i rinvii sembrano solo complicare una situazione già difficile
Nel più puro stile italiano e seguendo l’antico richiamo della foresta, anche oggi possiamo dire di aver concluso un perfetto rinvio a domani. Ma vuoi mettere il piacere, sottile e quanto dolce, di non decidere e di rimandare? Nessuno è scontento, tutti possono dire di aver ragione, ogni ipotesi resta aperta.
Bon, poi ci sono alcuni dettagli, come il tempo che passa, i costi che certo non diminuiscono, la gente che non ha lavoro, l’inquinamento che non sparisce. Ma, appunto, sono dettagli, quisquilie, carabattole.
Lo so che vi state chiedendo di cosa diavolo stia straparlando, ma lasciate al cronista almeno il diritto al sarcasmo, perché l’alternativa è la satira: la situazione è disperata ma non seria. Parliamo dell’ex Ilva. Taranto, acciaio, fonderie, lavoro, scorie, ambiente, Procura, Regione, Ministeri e Ministri vari, tutti insieme appassionatamente discutenti da anni di un problema, quello dell’azienda metallurgica appunto, e niente risolventi. Ma molti rinvianti.
Il Governo per la verità aveva gonfiato il petto e con un moto decisionista aveva dato quarantotto ore a Regione e Comune per trovare un’intesa sull’accordo di programma: la riunione al ministero delle Imprese si è ovviamente conclusa con un nulla di fatto. No, chiedo venia: non è vero che si è fatto nulla perché invero si sono fatte molte ipotesi. Chi vuole la nave rigassificatrice, chi i forni elettrici, chi ipotizza una nazionalizzazione.
Fatto sta che per il momento, sull’ex Ilva di Taranto si è deciso di non decidere. C’erano tutti: il presidente della Regione Puglia, il sindaco di Taranto, il ministro delle Imprese Adolfo Urso aveva addirittura «liberato l’agenda per due giorni». Giusto per capire come funzionano le cose: Urso aveva lanciato la stampella contro il nemico dicendo a Michele Emiliano e al primo cittadino tarantino Piero Bitetti di essere pronto a trattare a oltranza. Emiliano aveva risposto escludendo categoricamente l’intesa nella giornata di ieri e che al contrario stava cominciando una nuova trattativa. Noi non siamo mica sicuri che fossero nello stesso posto e parlassero della stessa roba!
Ma cosa potrà mai andar male in uno Stato in cui Ministri e Governatori devono impiegare il loro tempo per discutere dell’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, senza la quale sull’acciaieria cadrà la mannaia del Tribunale di Milano, con conseguente chiusura di tutto il cocuzzaro? Peccato che per il rilascio dell’Aia serva un accordo di programma con Regione Puglia, Comune e Provincia di Taranto e Comune di Statte.
Auguri: Putin si è messo tranquillo a guardare per vedere come si fa a non trovare la pace!
Volete un esempio: per l’energia si parla di una nave rigassificatrice: Urso la vuole nel porto di Taranto, gli enti locali la vogliono lontana almeno dodici chilometri, l’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio a ridosso della diga foranea. Secondo problema: per produrre acciaio serve acqua. Tanta acqua. Vabbè: presto fatto, si costruisce un impianto di desalinizzazione. Dove lo piazziamo? Presto detto: in alto mare su una piattaforma. Ma agli enti locali questo non va bene.
Allora l’italico genio produce una controproposta: la nave per alimentare i forni facciamola a Genova. I liguri si sa sono sensibili alle sovvenzioni.
Alle strette, Urso dà fondo alle sue competenze tecniche e in attesa di andare a Genova si rivolge ai santi: in fondo siamo o non siamo una repubblica laica? Così prima ha consultato il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi e poi ha parlato con gli arcivescovi di Taranto e Genova. Vedi mai che loro in seminario oltre a Teologia Dogmatica e Liturgia hanno pure studiato economia politica e sviluppo industriale!
Anche se sospettiamo, ma noi siamo della vecchia scuola sindacale e anche un po’ catto-comunista, che il vero obiettivo dell’impavido ministro fosse di ottenere da chi ha contatti molto in alto quel miracolo che sarebbe la vendita del dossier Ilva: agli azeri di Baku Steel o a chiunque, anche a voi che state leggendo queste righe, se voleste infilarvi in un bel casino.
Anche perché si sta creando la tempesta perfetta.
Oggi, 10 luglio, scade il termine di presentazione degli emendamenti alla commissione Industria del Senato sul decreto legge Ilva, quello che assegna all’ex Ilva altri 200 milioni, che poi dovrà essere convertito in legge prima della pausa estiva che parte l’8 agosto.
Siccome ci sarebbero pure in ballo quasi diciassettemila posti di lavoro due giorni fa Urso ha incontrato anche i sindacati che però hanno chiesto ben più dei 200 milioni di prestito ponte e in un impeto di sprezzo del pericolo hanno lanciato la parolina magica: e se si nazionalizzasse l’acciaieria e la decarbonizzazione la gestisse il pubblico?
Già a proposito del consorzio azero guidato da Baku Steel che aveva messo sul tappeto 1 miliardo di euro e ne aveva promessi altri 4: anche loro volevano il rigassificatore senza il quale però mica cacciano la moneta.
E qui torniamo al teatrino appulo-ligure-romanesco.
Perché sul tappeto ci saranno 17.000 stipendi, folle di morti per malattie indotte dagli impianti, il futuro di una parte del sistema industriale italiano, gli equilibri ambientali, le relazioni mediterranee, i permessi della Commissione europea. Ma il problema è soprattutto politico giacché, come ha ricordato ancora Urso, gli enti locali “non possono sostenere sul piano politico una nave rigassificatrice nel porto”. Tradotto: i tarantini non vogliono e noi, sindaco e giunta, col cavolo che ci facciamo impallinare alle prossime elezioni per una questioncella secondaria come la grana-Ilva.
Dite: vabbè Urso. Facile sparare sulla Croce Rossa. Ma gli altri? Ah, beh. Lì la genialità fuoriesce, si espande, copre finanche le pianure alluvionali sumero-babilonesi!
L’acuto osservatore che è il segretario della Fiom Michele De Palma ha capito che «questo è il gioco del cerino», l’invitto senatore tarantino del Movimento 5 Stelle Mario Turco chiede «l’immediata nazionalizzazione dello stabilimento», e la transizione all’idrogeno verde, qualunque cosa voglia dire e cara grazia se non ha spiegato che il tutto si può fare in fretta ed entro pochi giorni.
Penserete: va tutto così male? Non sei mica tu che da vecchio babbione sei intriso di pessimismo?
In effetti: non va tutto poi così male. Almeno finché non ci aggiungete che la magistratura ha sequestrato l’Altoforno 1 e minaccia di chiuderlo; che il solo altoforno in funzione è chiuso per ispezioni tecniche; che se si farà il rigassificatore a Genova la capacità produttiva, già ridotta a quasi 2 milioni di tonnellate, subirà un’ulteriore riduzione.
Ora: se un’industria privata è così conciata, se gente che muove i miliardi come bruscolini non riesce ad arrivarne a una, come pensate che possa finire se l’ex Ilva venisse nazionalizzata? Una avvisaglia, badate bene solo un’avvisaglia, ce l’avete se considerate che a oggi solo di prestiti ponte lo Stato ci ha già messo un miliardo mal contato e che il gruppo perde una cinquantina di milioni al mese.
Allora, dice l’acuto osservatore su Twitter (o come si chiama adesso) o il commentatore su La7, vendiamola agli investitori stranieri che, notoriamente, sono dei pirla mentre noi siamo italicamente parlando dei furboni e pure un po’ geniali.
Secondo Urso, infatti, gli investitori esteri sono ancora alla porta: Baku Steel, gli indiani di Jindal Steel International, gli americani di Bedrock Industries son lì che aspettano. Aspettano cosa secondo voi? Noi sospettiamo che aspettino di vedere come va a finire per raccogliere i cocci, pagarli un piatto di lenticchie, chiedere sovvenzioni pubbliche e tagliare ulteriormente.
Riassumendo: gli enti locali di sinistra sono contrari al rigassificatore vicino a casa loro, ma sono d’accordo se è a casa di altri; la magistratura è contraria alla riapertura del forno, ma è favorevole ai posti di lavoro; i Cinque Stelle sono contrari ai privati, ma favorevoli a usare l’idrogeno verde (qualunque cosa voglia dire); gli italiani sono contrari a pagare l’ennesimo conto di un’industria governata con criteri politici, ma sono favorevoli a salvare i posti di lavoro; i sindacati vogliono i posti di lavoro e l’industria verde e pulita subito.
E il Governo in tutto ciò? Diciamolo ad alta voce: decidendo di usare della “via religiosa all’acciaio” è forse stato il solo ad aver avuto idee ben chiare e ad essersi mosso di conseguenza. Bravo Urso: hai scelto l’opzione migliore e non ti sarà evangelicamente tolta. Ma ci permettiamo di darti un consiglio: perché invece di colloquiare solo con i cardinali non ti rivolgi direttamente al buon Dio? Dacci retta: il Governo organizzi una bella processione per le vie di Taranto con tanto di statue sante e reliquie, come si faceva quando c’era la peste. In fondo a Milano nel 1630, teste Manzoni, ha funzionato. O hai altri piani in testa?
Comunque tranquillo, c’è ancora tempo: anche la prossima sarà una settimana «decisiva». Come tutte le altre che l’hanno preceduta.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
