L'ex Ilva è l'unica in Italia a produrre acciaio primario e a rischio ci sono 20mila lavoratori: per questo serve la nazionalizzazione
Permane l’incertezza sul futuro dell’ex Ilva dopo la chiusura dei termini del bando di vendita che ha visto arrivare dieci offerte, di cui solamente due, provenienti da fondi, per il gruppo nella sua interezza. «La gara per la vendita dell’ex Ilva – ci dice il Segretario generale della Uilm, Rocco Palombella – è stata un fallimento totale perché le manifestazioni di interesse per l’intero gruppo, le uniche che consideriamo, sono state presentate da due fondi di investimento americani. Purtroppo non siamo meravigliati dell’esito della gara».
Perché?
Perché, fin dall’inizio, eravamo convinti che anche questa riapertura del bando non avrebbe portato a niente. La responsabilità è del Governo, dei commissari e di chi ha strumentalizzato politicamente questa vertenza. Nessuno escluso. Mai come ora siamo vicini alla chiusura definitiva dell’ex Ilva e per questo è fondamentale un intervento urgente e coraggioso: la nazionalizzazione.
È una strada percorribile sia per quel che riguarda le risorse che le normative Ue sugli aiuti di Stato?
Per le condizioni in cui versa l’ex Ilva l’unica strada è la nazionalizzazione per garantire il risanamento ambientale, la tutela occupazionale, il rilancio produttivo nell’ottica della decarbonizzazione con la costruzione di forni elettrici e DRI. È uno strumento forte ma necessario, già utilizzato da Paesi come la Gran Bretagna, in due casi, per salvare aziende siderurgiche e migliaia di posti di lavoro. La nazionalizzazione persegue l’interesse del Paese per un asset strategico, la tutela di 20 mila lavoratori tra diretti e indiretti, e l’acciaio primario di cui l’ex Ilva è l’unica a produrlo in Italia. Non sono le norme che ci ostacolano ma la volontà politica.
Perché pensa siano da escludere a priori la vendita integrale a fondi e la vendita “a spezzatino”?
Il futuro dell’ex Ilva passa dal mantenimento del Gruppo complessivo, con tutti i siti, perché solo così si può creare valore aggiunto e autonomia nella produzione e garantire l’occupazione. Lo spezzatino rappresenterebbe la fine. Per quanto riguarda i fondi di investimento, ritengo che non si possano accettare perché non vi è alcuna solidità industriale e progettuale, peraltro con offerte di pochi euro. Una situazione intollerabile e per questo chiediamo al Governo la gestione pubblica, con la messa in sicurezza di tutti gli impianti e l’avvio rapido di una decarbonizzazione. Nessun privato investirà in un’azienda che produce solo debiti.
Di chi ritiene siano le responsabilità della possibile chiusura dell’ex Ilva? Dei Governi, delle proprietà, della magistratura, delle stringenti norme Ue sulla transizione energetica?
In una vertenza che dura da 13 anni, le responsabilità sono tante e diffuse, sia a livello nazionale che locale. Ora però è arrivato il momento di togliere ogni strumentalizzazione e mettere al centro il futuro dei lavoratori e intere comunità. Vogliamo sapere dal Governo che cosa vuole fare per l’ex Ilva e non possiamo accettare l’ennesimo scaricabarile o perdite di tempo. Abbiamo le ore contate e non possiamo più aspettare.
Cosa farà ora il sindacato, la Uilm in particolare, per tutelare i lavoratori del gruppo?
Noi siamo pronti a tutto per tutelare i lavoratori, diretti, dell’appalto e in Ilva AS. Non possiamo accettare che l’incapacità e la mancanza di coraggio della politica, nazionale e locale, la possano pagare migliaia di persone e comunità. La politica tutta si assuma le proprie responsabilità e ci dica con chiarezza cosa intende fare. Siamo in una situazione preoccupante e non possiamo rimanere fermi, ci mobiliteremo.
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