Non sarà facile, perché lo scenario è quanto mai complesso, ma è doveroso cercare una strada per trasformare i punti di crisi in opportunità, per affrontare in maniera costruttiva i nuovi paradigmi imposti dalla realtà in cui viviamo. Una realtà che in pochi anni ha dovuto confrontarsi con impreviste fragilità. Dapprima la pandemia, poi la guerra scatenata dalla Russia hanno messo in crisi un modello di sviluppo globale che tuttavia già prima stava mostrano da corda: con la crisi degli equilibri ambientali e con la crescita delle disuguaglianze tra i Paesi e all’interno di ogni singola nazione.
Certo, il capitalismo, la fine della Guerra fredda, l’apertura dei mercati a cavallo del secolo hanno fatto crescere la ricchezza e hanno ridotto l’area del sottosviluppo e della fame con un’incisività che non si era mai realizzata in precedenza. E in questi anni le nuove tecnologie, i supercomputer, le prime applicazioni dell’intelligenza artificiale stanno offrendo nuove opportunità e impongono nello stesso tempo una riflessione aperta sotto il profilo etico e di conseguenza per le decisioni politiche.
E allora è necessario riflettere e muoversi nella convinzione che non c’è una soluzione da scoprire o da inventare, ma c’è un processo da avviare pazientemente cercando la direzione giusta.
E questa la filosofia di fondo del libro curato da Giuseppe Sabella “Quale transizione dopo la crisi ucraina? Appunti per un nuovo inizio dell’economia e del lavoro” (Ed. Lavoro, Pagg. 160, € 15) in cui otto esperti approfondiscono due filoni dell’attualità. Una prima parte (con gli interventi dello stesso Sabella, Pelanda e Magatti) che guarda ai temi macroeconomici e politici, dalla crisi della globalizzazione al nuovo mondo multipolare in cui i protagonisti tuttavia faticano a collocarsi. La seconda parte con gli interventi di Brugnoli, Cucchiara, Martone, Ichino e Tiraboschi, cerca di analizzare a livello micro territoriale le dinamiche delle imprese e del mondo del lavoro.
In questa prospettiva è possibile partire dai punti di forza di un’economia, come quella italiana, che non è solo basata sulle piccole e medie imprese, considerate una fragile spina dorsale, ma anche sulla logica dei distretti, delle zone di specializzazione, del capitale relazionale, una capitale che, come sottolinea Alberto Brugnoli, “può essere interpretato come l’insieme dei legami bilaterali/multilaterali che gli attori locali hanno sviluppato, sia all’interno che all’esterno del territorio locale, agevolati da un’atmosfera di facile interazione, fiducia, modelli comportamentali e valori condivisi”. Un punto di partenza importante perché, come afferma Sabella nel primo capitolo “oggi la crisi dei rapporti in particolare tra Usa e Cina, quella del commercio mondiale, il back reshoring e il decoupling delle catene del valore rendono sempre meno multilaterali le relazioni internazionali a favore di una regionalizzazione degli scambi. Tuttavia, il regionalismo non è una scoperta recente, pensiamo al mercato nordamericano o al mercato comune europeo per esempio. La novità è che oggi si chiede al mercato regionale non solo di crescere la sua domanda interna e di favorire i suoi membri, ma anche di darsi obiettivi comuni dal punto di vista della produzione”.
Ecco allora la necessità di un mondo del lavoro costruttivamente flessibile e aperto alle nuove opportunità, ecco l’esigenza di utilizzare gli ingenti fondi del Pnrr in una logica di moltiplicazione delle possibilità operative, ecco l’urgenza di scelte coraggiose sotto il profilo energetico e ambientale. Le possibilità ci sono. E anche la concreta speranza di poter compiere dei passi avanti con solidarietà ed efficacia.
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