Si chiama “Cento giorni di felicità”, era un libro che diventerà un film, parla dell’eutanasia e verrà girato in Cina dopo una lunga censura: ma la novità più sorprendente è che l’opera di “contrasto” a tale realizzazione non deriva questa volta da Pechino, ma dall’Italia. Lo ha raccontato in un’intervista al “Corriere della Sera” il regista Fausto Brizzi, autore del romanzo che tratta il tema delicato della “dolce morte” e regista del film che andrà in scena in Cina grazie alla “Bridging the Dragon”, associazione di produttori sino-europei sempre più punto di riferimento dei progetti cinematografici che legano i due mercati.
«È da quando è uscito il libro, ormai 8 anni fa, che provo a farne un adattamento per il cinema, ma ogni volta che lo propongo la risposta è sempre la stessa: sì bello, ma prima dedichiamoci a quest’altro progetto», racconta Brizzi al CorSera, accusando il nostro Paese di una sorta di “censura” al racconto di un uomo con un tumore terminale che «decide di avere ancora 100 giorni di vita perché non vuole che i figli lo vedano malato. Quei 100 giorni saranno i più belli della sua vita, saranno un percorso di riconciliazione con sua moglie e di addestramento alla vita per i suoi bambini. Oggi abbiamo già problemi a fare film con batture scorrette, figuriamoci affrontare l’eutanasia, un tema controverso che in Italia trova sempre poco spazio. Una forma anche di autocensura preoccupante».
LA “DIFFIDENZA” SUI FILM DI BRIZZI
Il regista, come noto, è stato accusato nel passato di molestie sessuali sull’onda del movimento MeToo: ebbene, è stato archiviato su tutto e al netto della “censura” sul suo film “Cento giorni di felicità” non ritiene che sia quello il motivo di tale contrasto: «Non provo rabbia, non ho nulla da recriminare su me stesso. Spero che sia una vicenda servita a tutti, spero che i media stiano piu attenti a dare notizie o presunte notizie. Io sono stato accudito da tanti amici, ne ho persi, ne ho scoperti di nuovi. Quello che mi resta di quel periodo è una moglie meravigliosa (Silvia Salis, sposata nel 2020, ndr) e un’agenda diversa». Fausto Brizzi racconta però del “paradosso” in merito al film dedicato al tema dell’eutanasia che tanto ha conquistato i produttori cinesi: «Due anni fa ho girato “Se tu mi vuoi bene”, il sequel di Cento giorni di felicità: credo che sia un unicum mondiale, c’è il sequel ma non il normal. Insomma se mai me lo faranno fare dovrei girare il prequel di un sequel…». Al “Corriere” il regista e autore sottolinea l’importanza anche per il futuro del mercato cinese in merito al cinema: «si muove su numeri mostruosi, ci sono commedie che incassano 800 milioni di dollari, molto più del box office americano. Per il ruolo principale si parla di un attore brillante notissimo, che da loro equivale a Checco Zalone: si è innamorato della possibilità di recitare un ruolo drammatico e grazie a lui si è sbloccata l’acquisizione».