L'inflazione negli Stati Uniti resta appiccicosa, ed è difficile per la Fed capire quando poter tagliare i tassi e in che misura
A metà mese è stato rilasciato il dato relativo all’inflazione statunitense di giugno, aumentata annualmente al 2,7%, rispetto al 2,4% di maggio. Il dato ha sorpreso anche le aspettative degli investitori, che prevedevano un Consumer Price Index al 2,5%.
Spacchettando il dato notiamo un incremento mensile della componente degli alimenti pari allo 0,3%, in linea con l’aumento riscontrato nel mese precedente, mentre la componente dell’energia è incrementata mensilmente dello 0,9%.
Grafico 1 – U.S. Consumer Price Index (variazione % annuale)
I prezzi al consumo core, ovvero al netto delle due componenti degli alimenti ed energia, è incrementato mensilmente dello 0,2%, mentre annualmente si è attestato al 2,9%, in aumento rispetto alla precedente lettura pari a 2,8%.
All’interno dell’inflazione core troviamo la componente dei servizi, la più importante e monitorata dalla stessa Fed e dai mercati finanziari, la quale è aumentata mensilmente dello 0,3%, rispetto allo 0,2% registrato lo scorso mese. All’interno troviamo la categoria degli affitti, con un incremento mensile pari allo 0,2%, i servizi di traporto, incrementati dello 0,2%, e infine i servizi medici con un +0,6%.
In generale l’incremento del CPI è dovuto all’effetto base che nello scorso articolo avevo accennato andasse a impattare su questa lettura. Nonostante ciò, la componente core dell’inflazione rimane molto appiccicosa e costante nella crescita, motivo per il quale il dato generale è andato sopra le aspettative degli investitori. Rimane comunque un dato che si sgonfierà con molta probabilità nelle prossime letture per effetto matematico, ma che non dà sicurezze alla Federal Reserve, causa i servizi ancora resilienti nei loro prezzi.
La Federal Reserve lo scorso mese si è riunita durante il Fomc, mantenendo come da aspettative i tassi invariati al 4,5% e rilasciando i dati sulle proiezioni future in termini macroeconomici e di politica monetaria, essenziali per capire le previsioni della Banca centrale statunitense. Le proiezioni sono state riviste al rialzo per inflazione e disoccupazione di fine 2025 e 2026, mentre la crescita economica è stata rivista al ribasso. Tali proiezioni sono frutto certamente delle politiche fiscali che Trump sta portando avanti di dazi significativi nei confronti di diversi Paesi, i quali potrebbero portare appunto inflazione più appiccicosa e meno crescita economica.
Le proiezioni della Fed sono perciò non ottimiste, e in termini di politica monetaria si prevedono sempre tassi d’interesse a circa il 3,9% entro fine anno, ciò significa due tagli dei tassi in questa seconda metà dell’anno, il primo dei quali avverrà con molta probabilità nell’appuntamento di settembre.
Sarà importante continuare a tenere monitorati i dati macroeconomici in uscita, per analizzare l’andamento e capire le mosse conseguenti della Banca centrale americana, che verranno annunciate mercoledì.
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