La selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma continua a pagare la serratissima battaglia tra festival autunnali. Vedremo se cambierà qualcosa l'anno prossimo

Si è conclusa domenica, con il red carpet di The Eternals, la 16a edizione della Festa del cinema di Roma, una manifestazione che è tornata a rivedere le sale senza distanziamenti come in epoca pre-Covid, ma che non sempre ha saputo riempirle, se non per gli incontri con alcune star – Quentin Tarantino o Johnny Depp – o per qualche film in collaborazione con Alice nella città. La selezione ufficiale della Festa continua a pagare la serratissima battaglia tra festival autunnali e anche forse uno sfilacciamento nelle maglie politiche che la reggevano i primi anni, segnalato anche dalla dispersione dei film, dalla confusione delle sezioni e degli eventi in un’area troppo ampia e mal collegata, elementi che danno l’idea di una carenza di identità che rischia di essere conclamata, facendo uscire il festival dai radar. Chissà se il cambio di amministrazione capitolina potrà essere un nuovo passo avanti per la Festa.



Il premio del pubblico, l’unico ufficiale della Festa, è stato vinto da Open Arms – La legge del mare, film diretto da Marcel Barrena dedicato alla figura di Oscar Camps, l’uomo che ha creato l’ONG divenuta celebre per i salvataggi dei profughi e dei clandestini in mare: un film pieno di buone intenzioni e agiografismi, perfetto per un pubblico generalista (e televisivo). Per noi, invece i film migliori della Festa sono altri.



Per esempio, Petite maman, piccolo miracolo di Céline Sciamma di cui abbiamo scritto nei giorni scorsi e che ha vinto il premio di Alice nella città; Belfast (anche questo recensito pochi giorni fa) che secondo i bookmakers porterà Kenneth Branagh al premio Oscar; oppure The Lost Leonardo, documentario diretto da Andreas Koefoed che racconta l’apparizione, la vendita e poi la “scomparsa” del Salvator mundi, opera attribuita in modo controverso a Da Vinci e venduta per 450 milioni di dollari – forse – a un principe saudita che l’ha praticamente nascosta e che nell’appassionante inchiesta cinematografica diviene un modo per riflettere sui nodi che legano arte, politica ed economia.



Fa molto piacere il ritorno in buona forma del maestro cinese Zhang Yimou che ha presentato One Second, film che nel ’19 era stato bloccato dalla censura cinese prima che potesse partecipare al Festival di Berlino e che racconta di un uomo che, nella Cina degli anni ’60, ruba una pellicola per poter guardare in un cinegiornale la figlia che non vede da molti anni: un omaggio al cinema e alla pellicola, al piacere fisico e meccanico dei film e della proiezione, capace di rendere concreto e materiale il sentimento di rispecchiamento ed empatia che la Settima arte sa creare meglio di molti altri modi di espressione.

Il cinema italiano, nonostante l’abbondanza di film nelle varie sezioni (cocentissima la delusione per il nuovo di Pif), si fa rubare la scena da un fumettista che realizza una serie tv Netflix: Strappare lungo i bordi di Zerocalcare è una delle opere più divertenti e vitali viste alla Festa, il racconto di un’adolescenza come un trascinante flusso di coscienza, in cui il racconto digredisce, si amplia e ritorna, racconta un’epoca e i suoi strascichi oggi, parla del minimalismo quotidiano come uno stand-up comedian ma sa rapportarlo anche ai sentimenti universali, in cui la cultura pop diventa appiglio di resistenza psicologica.

Ora la sfida è lanciata per il prossimo anno: nuovo sindaco – e l’amministrazione comunale ha da sempre un peso enorme dentro la Fondazione Cinema per Roma – e il direttore Antonio Monda in scadenza, mentre la presidente Laura Delli Colli farà da garante della transizione, se avverrà. La sfida è Make Festa Great Again, ma non è uno slogan che ha portato troppa fortuna, in passato.

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