Devo iniziare questo articolo con una vicenda del tutto personale; però credo che in questi anni sia capitata anche ad altri. Io professionalmente sono un consulente informatico (anche se da oltre venti anni mi occupo di economia e finanza). Recentemente ho svolto due colloqui di lavoro per una possibilità di consulenza presso la sede centrale di un primario istituto bancario. Dopo qualche giorno sono stato informato che i colloqui erano andati bene e avrei iniziato l’attività di consulenza un certo lunedì. Invece il venerdì precedente sono stato richiamato e mi hanno comunicato che la mia candidatura era stata improvvisamente scartata dal cliente (l’istituto bancario). A quanto pare, sono andati a ricercare il mio nome su internet e hanno scoperto le mie competenze in ambito monetario. In particolare, sembra non essere piaciuto un mio video di circa sette anni fa nel quale, parlando del signoraggio bancario, affermavo che la Bce aveva stampato e stava stampando moneta in eccesso.
Ovviamente la cosa mi è dispiaciuta e mi ha ferito. E confesso che per un momento la mia mente è stata attraversata dal pensiero “mannaggia, se fossi stato zitto, non avrei perso questa occasione!”; ma è stato solo un momento, perché quando uno ha iniziato a provare il gusto di dire la verità, poi non ci rinuncia più, costi quello che costi (come direbbe un certo Draghi). E così oggi, nonostante quello che è successo, non tornerei indietro e se mai potessi rifarei le stesse cose, scriverei gli stessi articoli e direi nel video le stesse cose.
Poi, cosa ho mai detto di così grave? Ho detto una banalità: la Bce dalla sua nascita e fino a oggi ha stampato e continua a stampare moneta in eccesso. Il dato è così evidente che nel 2007, prima dello scoppio della crisi, tre ricercatori italiani di Bankitalia pubblicarono uno studio per rispondere al fatto che la moneta in eccesso non stava creando inflazione. Quindi anche quello studio parte dal fatto scontato che la Bce stava stampando moneta in eccesso.
Ora mi tocca ribadirlo: la Bce ha stampato e sta continuando a stampare moneta in eccesso: questa non crea inflazione perché, come ormai sanno pure i sassi, la moneta non finisce a famiglie e imprese, ma nei mercati finanziari. Questo succede proprio per le regole imposte: il denaro prodotto dalla Bce può finire in prima battuta solo alle banche commerciali; queste, avendo come unico obiettivo il profitto, divenuto tanto più impellente in tempi di crisi economica, lo vanno a collocare dove sperano di trarne maggiore guadagno, cioè sui mercati finanziari, gonfiati nel tempo dalla sempre maggiore liquidità, una bolla smisurata che alimenta se stessa.
La perdita della sovranità monetaria coincide col fatto che per tutti, Stati, banche commerciali e imprese, il denaro è debito. Se non alimenta il debito pubblico, allora alimenta il debito privato. Però il debito totale è sempre inevitabilmente in crescita, tanto che a livello mondiale è arrivato a superare il 300% del Pil mondiale. Nel frattempo il denaro manca nell’economia reale e questa soffoca, tra fallimenti e disoccupazione.
Ovviamente non va allo stesso modo per tutti e c’è chi cresce mentre altri falliscono. E come al solito a trovarsi in difficoltà sono i più deboli, i più piccoli, quelli che hanno meno potere e sono tenuti in minore considerazione. Questa situazione però non può durare a lungo e prima o poi in sofferenza entrano anche i più forti. Sta accadendo anche all’economia tedesca, per anni considerata il modello da seguire, poiché tutta dedita all’esportazione. Il fatto è che se la Germania esporta, vuol dire che altri importano. Ma non si può continuare a importare, cioè a indebitarsi, senza entrare in una crisi profonda che alla fine deprimerà le importazioni. Così ora che le esportazioni tedesche iniziano a soffrire, tutta l’economia tedesca ne soffre, non avendo sviluppato nel frattempo un adeguato mercato interno.
La soluzione sarebbe un intervento dello Stato, con massicci investimenti che facciano riprendere il mercato interno. Il problema è che un tale piano è osteggiato ideologicamente perché tutto dev’essere dominato dal libero mercato e non dall’intervento statale.
C’è un terzo modo ed è la strada della sovranità monetaria, quella strada per la quale lo Stato non si indebita e genera moneta senza iscriverla tra i passivi oppure, è lo stesso, i titoli di Stato acquistati dalla banca centrale di un Paese vengono considerati ritirati per sempre dal mercato e quindi non sono più un debito per lo Stato. Questa è la soluzione che di fatto è stata applicata in Giappone e grazie alla quale il debito pubblico di quel Paese è stato ridotto dal 250% al 140%, con un semplice colpo di spugna. Non costa nulla, è semplicemente una questione di regole e norme.
Questo è peggio di un tabù, poiché minerebbe alla radice la ragione d’essere della Bce, nata con l’unico scopo della stabilità dei prezzi, “costi quello che costi” come disse Draghi nel 2012. Costi quello che costi e il conto lo pagano gli Stati, cioè i popoli.
Che sia un tabù lo ha confermato l’ex ministro Tria, circa un anno fa, in un suo intervento alla Luiss affermando esplicitamente che “non dobbiamo dimenticare che esiste un secondo modo di finanziare il deficit ed è il finanziamento in moneta… che richiederebbe una non prevedibile revisione dello statuto della Bce”.
Sono tante le cose che l’uomo non prevede. Per esempio, un’epidemia come quella che sta iniziando in questi giorni a diffondersi in tutto il mondo e pure in Italia. Se però ci si mette in una situazione nella quale si è completamente indifesi da simili diffusioni, grazie alla globalizzazione e alla grande mobilità delle persone anche per motivi di lavoro, poi non ci si può stupire che al sorgere di queste malattie si sia esposti sul piano globale.
La stessa considerazione vale per l’economia. Ci si è resi sempre più interconnessi e si sono abolite norme e controlli sulle merci e sul movimento dei capitali. Ora però accade che se un’economia entra in sofferenza questo fatto colpisce anche tutte le altre economie. Sarà una sorta di epidemia finanziaria globale. Magari scatenata da un’epidemia reale.