FINANZA/ Perché lo Stato non investe nel boom tech invece che ricomprarsi Autostrade?

- Ugo Bertone

In questa fase post-Covid lavorano molto e innovano le società legate al mondo tech. L'Italia rischia di perdere questa occasione di ripresa

comunicazione_computer_bigdata_cavi_lapresse_2016 La Presse

Tempi felici quelli in cui i giornali segnalano i ponti del weekend, ricavati dai vacanzieri per allungare i giorni di riposo. Oggi il weekend del ponte si riferisce all’ultimatum che il Premier Giuseppe Conte avrebbe imposto ai Benetton, soci di controllo di Atlantia, per trovare una quadra alla vicenda Autostrade, ormai insostenibile anche per un Paese come il nostro abituato al peggio. Nell’attesa della fumata bianca che porterà poco sollievo al traffici di turisti e merci, occupiamoci di un altro capitolo dei mercati finanziari.

Brilla in questi giorni Stm, il gruppo italo-francese dei chips che veleggia sui massimi grazie alla domanda crescente del settore, testimoniata dal boom dell’americana Microchip Tech, sommersa dagli ordini. Il produttore di chip ha avvertito la clientela che i tempi di consegna saranno più lunghi del previsto, anche se la struttura produttiva è impegnata al massimo. Non è un caso isolato. L’emergenza coronavirus si è tradotta in una grossa opportunità di crescita per tutti i segmenti della tecnologia legati alla connettività, al lavoro in remoto e alla migrazione sul cloud di buona parte delle attività. Senza trascurare l’internet delle cose in cui Stm sta sviluppando iniziative a raffica (compreso un indicatore, a basso costo, del distanziamento sociale da indossare al polso). Il risultato è stato il boom di Sap, il colosso del software tedesco (170 miliardi di capitalizzazione) che ha registrato un forte aumento dei ricavi relativi agli ordini sul cloud, legato alla costante domanda di supply chain digital, e-commerce, piattaforme cloud e soluzioni di “Qualtrics”.

Non è un caso isolato. Le ultime notizie in arrivo dal mondo della tecnologia segnalano in modo sempre più evidente che la pandemia ha svolto una funzione di “acceleratore” di molti piani di investimento e/o di migrazione verso il cloud. Ciò vale per le società che operano nell’e-commerce, nella formazione, nella comunicazione, nella sicurezza e nelle attività di gestione. Insomma, la pandemia può essere un’occasione di crescita purché la struttura economica disponga di capitali ma soprattutto di competenze in grado di cavalcare le necessità del cambiamento.

Purtroppo, in questa classifica l’Italia conta ben pochi campioni, nonostante alcuni segnali promettenti (vedi la sfida di Snam sull’idrogeno). E le premesse sono pessime, stante la debolezza della finanza pubblica e la scarsa attenzione della politica nostrana per settori che generano posti di lavoro che, tra l’altro, non sono alla portata di giovani ignoranti (se non analfabeti) in tecnologia per colpa dell’assoluto disinteresse del sistema. Meglio impiegare le risorse scarse per riacquistare, a prezzo comunque alto, il controllo di Autostrade per l’Italia per gestire le commesse per la giungla di asfalto programmata per i prossimi anni. Meglio sarebbe aprire il capitale, garantendo il giusto profitto, ai competitors alla ricerca di investimenti che garantiscano risultati ragionevolmente sicuri nel tempo. E destinare le risorse risparmiate ai centri di ricerca d’eccellenza di cui l’Italia per fortuna dispone.

A pochi chilometri dal ponte sul Polcevera c’è ad esempio, l’Istituto Italiano di Tecnologia, leader nella robotica (e non solo), che potrebbe far fruttare gli investimenti per oggi e domani senza imporre alle Poste di occupasi di caselli e pedaggi.







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