Ieri sui mercati europei è andata in scena una giornata storica e con segnali non positivi per i cittadini europei

Ieri sui mercati europei è andata in scena una giornata storica. Non è un’iperbole perché il rendimento del decennale tedesco ha avuto l’incremento giornaliero più alto dal 1990. Trentacinque anni fa gli investitori si preparavano alla riunificazione della Germania e ai suoi costi per lo Stato federale; in quella fase Berlino sforava i target di deficit con il resto d’Europa che chiudeva tutte e due gli occhi di fronte all’eccezionalità della situazione politica. Ieri il Governo tedesco ha annunciato un piano di investimenti in difesa e infrastrutture che nei prossimi dieci anni vale più di mille miliardi di euro.



Le spese per la difesa sopra l’1% del Pil non verranno incluse nei limiti del debito; aumentare di due punti percentuali di Pil all’anno questi investimenti comporterebbe l’esenzione dai calcoli di circa 90 miliardi di euro all’anno; in dieci anni la cifra si avvicinerebbe ai mille miliardi. In aggiunta il Governo istituirà un fondo per le infrastrutture, anch’esso escluso a fini dei limiti al deficit, per 500 miliardi di euro nei prossimi dieci anni.



Quello che non è stato fatto negli ultimi tre decenni viene annunciato ieri e i mercati mandano in scena un movimento che raramente si vede sugli schermi. Salgono i rendimenti dei titoli di stato europei, sale l’euro e le aspettative dei mercati sui prossimi tagli della Bce si modificano repentinamente e in senso restrittivo. Martedì il mercato si aspettava nel 2025 almeno tre tagli e non escludeva la possibilità di un quarto; ieri il mercato si posizionava tra due e tre tagli.

Investire in difesa per punti percentuali di Pil e in infrastrutture stimola l’economia, a debito, e questo significa più crescita e prezzi più alti. Questo è stato il ragionamento semplicissimo dei mercati che di conseguenza correggono le attese sui tassi mentre gli investitori, per comprare titoli di stato, chiedono rendimenti più alti.



In altre fasi storiche, quando la globalizzazione garantiva prezzi bassi a tutti, forse la reazione sarebbe stata diversa. Invece oggi, tra una guerra commerciale e l’altra e dopo una fase inflattiva che non si vedeva dagli anni ’80, la reazione dei mercati riporta tutti indietro di 35 anni al crollo del muro di Berlino. Allora, per la cronaca, l’obiettivo era innalzare la qualità della vita di 17 milioni di tedeschi della Germania Est.

Quanto successo ieri ha un grande merito e cioè quello di mostrare che i piani di investimento non sono gratis. Dopo ieri costa di più rifinanziare il debito pubblico italiano, ma, in prospettiva, costano di più anche i mutui per la casa. Forse la fase di rallentamento economico che vive l’Europa, si vedano i dati di ieri sulle vendite al dettaglio italiano, aiuterà a calmare i prezzi. Bisogna fare, a questo proposito, una precisazione perché l’inflazione non è la stessa per tutti; è ormai chiaro che l’inflazione percepita, e subita, dalle fasce di reddito più basse è stata più alta negli ultimi anni rispetto ai ceti più abbienti.

Incentivare con soldi pubblici la produzione di carri armati rende la loro produzione meno onerosa, ma la famiglia media europea, ci risulta, non inizierà per questo ad andare al mare o a fare la spesa con i “Leopard”. I piani di spesa pubblica per centinaia di miliardi di euro si pagano e oggi costano di più di due decenni fa quando la l’Europa costruiva la sua competitività comprimendo al massimo la domanda interna.

Di questa fase di investimenti che si apre rimarranno certamente almeno due cose: il debito e il mutamento dei prezzi relativi perché, per esempio, gli armamenti costeranno di meno di quello che sarebbero costati senza sussidi e il resto dei beni di più perché questi programmi di spesa sottraggono risorse agli altri settori. Nel frattempo l'”economia” potrà anche andare bene e il Pil salire perché cresce l’attività economica, si aprono nuove fabbriche e si assume personale. Gli investimenti però non sono equivalenti e il “Pil” è una misura dell’economia che può essere fuorviante.

I costi che sosterranno le famiglie europee, evidenti da ieri, non si traducono automaticamente in un miglioramento della qualità della vita piuttosto che della sanità solo perché “si investe”. I mercati per ora festeggiano, ma la distribuzione dei risparmi nella popolazione non è equilibrata e chi è investito può sempre vendere al primo segnale di peggioramento o alla prima avvisaglia che il debito o i prezzi non sono più sostenibili. I costi invece rimangono.

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