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Home » Cronaca » FINE VITA/ 2. “Prima di aiutare Laura Santi e Dj Fabo ad andarsene, cosa abbiamo fatto per tenerli con noi?”

  • Cronaca

FINE VITA/ 2. “Prima di aiutare Laura Santi e Dj Fabo ad andarsene, cosa abbiamo fatto per tenerli con noi?”

Salvatore Abbruzzese
Pubblicato 26 Luglio 2025
Laura Santi

Laura Santi in tribunale per la richiesta del suicidio assistito (ANSA 2025, Ass. Coscioni)

Il commiato di Laura Santi non può lasciarci indifferenti. Il “cuore” sembra darle ragione, ma c’è un diritto alla dignità che occorre garantire

La nostra società cerca di essere la più umana possibile. L’umanitarismo costituisce un tratto della nostra morale condivisa che ci guida nella legislazione di provvedimenti che rispettino sempre di più la persona. Proprio per questo il videomessaggio di Laura Santi, consigliera dell’Associazione Luca Coscioni, che, affetta da un’irreversibile sclerosi multipla, ci prega tutti di approvare un iter giuridico che consenta il suicidio assistito, crea in noi una sensazione di smarrimento profondo.


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Il suo dolore non può non essere abbracciato e se il suo desiderio non era solo quello di morire, ma anche di far sì che il suicidio assistito possa diventare una libera scelta, non solo lasciarla andare è il minimo che ci sembra di poter fare, ma anche seguire le sue indicazioni ci appare come un ovvio dovere morale.


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Lo dobbiamo per rispetto a lei, come a coloro che hanno sofferto assieme a lei e che, probabilmente, lei stessa ha voluto liberare da un peso insostenibile che aggiungeva dolore a dolore.

Detto questo, reso così omaggio alla nostra buona coscienza e tornando alle nostre faccende quotidiane, ci basta? Siamo veramente convinti che, dopo averla lasciata andar via e rimosso ogni ostacolo che separi chi soffre dalla scelta di porre fine alla propria vita, possiamo metterci “l’anima in pace”? Sinceramente no.

Non per la ricerca, che va finanziata affinché le malattie con decorso irreversibile diventino sempre di meno. Non per le sofferenze, che possono essere evitate grazie alle cure palliative, affinché la prospettiva di una malattia irreversibile non sia appesantita e resa insopportabile da tutti i dolori, fisici e psichici che questa comporta.


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Non per quanti amano queste persone e che oggi devono vivere una vita inaccettabile accanto ai loro cari, cercando personale sanitario sempre meno reperibile, tra strutture ospedaliere in crisi e infermieri che emigrano perché sottopagati. Non per la libertà e il diritto di vivere con dignità, che a ciascuno deve essere garantito, anche quando il male resta irreversibile.

Personalmente, guardando la statura morale e umana di Laura Santi, sono certo che se ci fossero state possibilità di cure palliative efficaci, questa nobile donna avrebbe continuato a vivere ed avrebbe preferito battersi per tutto ciò che aveva portato avanti fino ad oggi. Non se ne sarebbe andata, non ci avrebbe lasciati.

Fare una legge che snellisca le procedure, dando la possibilità di andare via “senza fare rumore” è quello che comunque ci ha chiesto. Il “moto del cuore” non può che darle ragione, anche se non ci consola affatto della sua scomparsa.

Altri scivoleranno via dopo di lei, magari senza video messaggi. Qualcuno si suiciderà direttamente perché la vita che gli si spalanca davanti gli appare senza senso (ricordiamo infatti come il tasso dei suicidi sia particolarmente elevato tra le persone anziane) altri, magari proprio grazie a nuove procedure, chiederanno la somministrazione di un’iniezione letale. Qualcuno lascerà parenti e amici. Altri se ne andranno via senza nessuno, o forse proprio a causa di questo.

Del resto, una volta riconosciuto un tale principio, chi oserà negare alle tante depressioni che circolano ad ogni età la possibilità di ricorrere al loro (oramai) legittimo diritto ad andarsene?

Tuttavia la politica non è solo il regno delle convinzioni ma anche quello delle responsabilità. È nostro dovere applicare ciò che riteniamo giusto, ma anche essere nelle condizioni di prevederne le conseguenze. Il vaso di Pandora che si apre rischia di essere terribile.

Una società nella quale amici e conoscenti, o anche perfetti sconosciuti, possano non essere più tra noi unicamente perché hanno scelto di non sopportare una malattia oggettivamente irreversibile o una depressione percepita come soggettivamente inaccettabile, più che un segnale di progresso ci appare come l’indicatore di una malinconica solitudine, una vera e propria sconfitta morale.

Qualche volta il peso della vita è realmente insopportabile ed è nostro dovere far sì che un tale peso venga il più possibile evitato. Siamo qui oggi, cioè in questa nostra epoca, per affermare l’uguaglianza e la libertà. Ma l’una e l’altra sono precedute dalla dignità, cioè dal diritto per ogni essere umano di potersi “guardare con dignità” e quindi di non essere umiliato dalla miseria materiale né da quella morale, così come di non essere torturato dalla sofferenza fisica, né da quella psichica.

Tali mete, per quanto sempre sfuggenti se non addirittura irraggiungibili, non di meno ci sembrano altrettanti punti cardinali, veri e propri criteri per orientarci nelle scelte, cioè autentici valori.

Occorre allora fare in modo che l’area della disperazione sia sempre più ridotta e le possibilità di non cadervi siano sempre più elevate. Ciò implica, certamente e innanzitutto, l’incremento delle cure contro il dolore, l’assistenza totale per i famigliari impegnati giorno e notte, il supporto psicologico per lo stesso paziente, come per coloro che soffrono accanto a lui.

Dopo di ché fare l’unica cosa giusta, l’unico dovere che abbiamo come umani, figli di una grande tradizione di recupero della dignità dell’umano: quello di guardarci dentro, di “preoccuparci l’uno dell’altro” e di essere messi nelle condizioni per farlo. Solo quando le cure palliative saranno debitamente assicurate, i familiari concretamente coadiuvati e sostenuti, le Laura, i Luca e i DJ Fabo, liberati dal loro dolore quotidiano e dal peso di vedere i loro cari ingrigirsi vicino a loro, saranno veramente nelle condizioni di scegliere liberamente.

E tutto questo non certo in nome di una fede che non tutti possediamo, né in omaggio ad un’autorità che per molti di noi non è tale, bensì in nome di un diritto alla dignità della vita che dobbiamo avere il coraggio di assicurare (perché senza dignità di vita non c’è libertà né uguaglianza che possano bastare). Ma soprattutto per aiutarci a tenere accanto le Laura, i Luca o i DJ Fabo di domani. Perché ne abbiamo bisogno, perché ci sono cari. Prima di aiutarli ad andare via, fare tutto il possibile (e anche l’impossibile) perché restino tra noi.

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Tags: Eutanasia

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