Dopo l’approvazione della legge in Toscana il Senato sta lavorando a una legge nazionale sul fine vita: 5 proposte sul tavolo per una sintesi difficile

Con l’approvazione della prima legge regionale sul fine vita la Toscana ha impresso una forte accelerazione all’approvazione di una legge nazionale, per il timore che si crei un effetto domino su tutte le altre Regioni, pronte ad accodarsi per non restare indietro in un dibattito che attraversa il nostro Paese da oltre vent’anni. Almeno da quando con Eluana Englaro si giunse a una sentenza che ne decretò la morte, sospendendo nutrizione e idratazione. Fin da allora sul valore della vita e sulle modalità del fine vita si è creato un enorme dibattito nel Paese.



Mentre alcune associazioni, in primis l’Associazione Luca Coscioni, hanno continuamente riproposto una legge con un chiaro approccio eutanasico, il Parlamento nel 2010 ha approvato all’unanimità la legge 38 sulle cure palliative e la terapia contro il dolore. Successivamente è entrata in vigore la legge 219/2017, contenente “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (DAT). Una legge che, diversamente dalla precedente, fin dal primo momento ha incontrato la ferma opposizione di una parte del Parlamento, che non ne approvava alcuni articoli perché contenevano una apertura eutanasica.



Cosa riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza n. 242/2019, che dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, a determinate condizioni, agevola il suicidio di chi richiede il suo aiuto. In quella occasione la Corte chiese al Parlamento di legiferare nell’ambito del fine vita con la maggiore chiarezza possibile, ponendo esplicite condizioni.

La persona doveva essere affetta da una patologia irreversibile, che occasionava sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili; doveva essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, doveva essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli. E, cosa essenziale, doveva aver intrapreso un trattamento di cure palliative. Tutte queste condizioni dovevano essere verificate da una struttura pubblica del SSN, previo parere del Comitato etico territorialmente competente.



Cinque ddl

In Senato sono in discussione cinque disegni di legge riguardanti il fine vita. L’esame è stato affidato alle Commissioni Giustizia e Salute, con l’obiettivo di trovare una sintesi tra i diversi testi. Quattro di questi ddl sono stati presentati dalle opposizioni: due dal Partito democratico, rispettivamente a prima firma dei senatori Dario Parrini e Alfredo Bazoli; uno dal Movimento 5 Stelle, a firma della senatrice Elisa Pirro; uno da Alleanza Verdi e Sinistra, a firma di Giuseppe De Cristofaro. Il quinto ddl è stato presentato da Forza Italia, a firma di Adriano Paroli.

L’iter legislativo finora ha affrontato un ciclo di almeno cento audizioni per approfondire le diverse proposte, senza aver raggiunto un testo condiviso da portare in Aula. Contemporaneamente l’Associazione Luca Coscioni ha raccolto le firme necessarie per una legge di iniziativa popolare, proposta in diverse regioni, dove è stata sistematicamente bocciata, salvo in Toscana.

La discussione in Senato rappresenta quindi un passaggio cruciale nel percorso legislativo necessario per disciplinare le scelte di fine vita in Italia, cercando di bilanciare le diverse sensibilità politiche e sociali presenti nel Paese. Finora però non è stato ancora individuato un testo guida tra le proposte presentate e il percorso legislativo si preannuncia ancora molto complesso. Le posizioni dei vari schieramenti politici sono distanti, rendendo difficile prevedere una rapida approvazione di una legge condivisa sul fine vita.

Necessità di una legge

Allo stato attuale dei fatti sembra proprio che una legge sul fine vita sia necessaria e urgente per diversi motivi di carattere giuridico, etico, sanitario e sociale.

Prima di tutto per colmare un vuoto normativo e la relativa incertezza legale. Le decisioni sul suicidio assistito e sull’eutanasia si basano sulle sentenze della Corte Costituzionale e non su una legge specifica, per cui lasciano medici e pazienti in una situazione di incertezza giuridica.

D’altra parte occorre evitare il rischio di disuguaglianze territoriali, perché creerebbe notevoli differenze nell’accesso a determinate scelte di fine vita a seconda della propria residenza. Una legge nazionale garantirebbe uniformità di diritti su tutto il territorio.

In terzo luogo, una legge sarebbe necessaria per rispettare l’autodeterminazione del paziente. La Costituzione italiana tutela il diritto alla dignità e alla libertà di scelta, compresa quella di rifiutare trattamenti sanitari, ma tutela soprattutto il diritto a ricevere cure palliative fino al termine della propria vita. Una legge servirebbe quindi a tutelare il personale sanitario, chiarendo quando e come possono agire nel rispetto della legge.

E infine, secondo diversi sondaggi, una larga parte della popolazione italiana sarebbe favorevole a una regolamentazione del fine vita: alcuni perché desiderano escludere scelte di tipo eutanasico, altri perché vorrebbero legittimarle senza troppe difficoltà. È importante rilevare che per molte persone il primo diritto è il diritto alla cura e quindi a ricevere in modo adeguato le cure palliative necessarie per vivere la propria vita fino alla fine in modo dignitoso.

Non è semplice capire come si muoverà il Comitato ristretto per garantire una norma giuridicamente precisa, eticamente corretta e psicologicamente rispettosa, tenendo conto dei criteri segnalati dalla sentenza della Corte per tutelare i pazienti e le loro famiglie, i professionisti e le varie istituzioni.

Quale tipo di legge?

Ci piacerebbe che la legge ribadisse in modo chiaro e inoppugnabile che il valore della vita non può essere messo in discussione e che al diritto fondamentale, costituzionale, di ricevere tutte le cure necessarie in modo libero e consapevole, corrisponde il dovere del SSN a garantirle fino al termine della vita.

La richiesta di por fine alla propria vita dovrebbe essere del tutto eccezionale e proprio per questo andrebbe preceduta e accompagnata da trattamenti di cura di altissima qualità, sotto il profilo umano e professionale, monitorando le procedure con la supervisione del Comitato etico competente.

Alla libertà di mettere fine alla propria vita, in casi assolutamente eccezionali, deve corrispondere la libertà del medico a poter dire di no: nessun medico dovrebbe essere obbligato ad aiutare un paziente a suicidarsi, perché si creerebbe una contraddizione profonda con le ragioni stesse della propria scelta professionale. E certamente il suicidio assistito non può essere fatto in nome del SSN e a carico del SSN, perché anche questo rappresenterebbe una contraddizione stridente con la mission istituzionale del Servizio sanitario nazionale.

Resta – come già preannunciato dalla sentenza della Consulta – la possibilità di depenalizzare chi di fatto per motivi compassionevoli collabora con il soggetto che intende togliersi la vita. Per lui deve sussistere una sorta di non punibilità legale, se rispetta il percorso previsto dalla legge.

Ma anche in questo caso occorre porre attenzione agli eventuali professionisti della morte, a quanti intendessero dedicarsi a questo compito, che per altro non dovrebbe essere mai retribuito, in nessun modo. Come non si retribuisce chi offre il suo sangue, tanto meno dovrebbe essere retribuito chi aiuta una persona a suicidarsi!

Serve inoltre un osservatorio serio, indipendente, proprio per evitare che si creino centri in cui si va solo a morire, come accade ad alcune cliniche in Svizzera: la pratica del suicidio assistito non può essere drammaticamente generalizzata, professionalizzata e specializzata, perché deve rimanere eccezionalmente legata al vissuto di una persona, come estrema conseguenza di un insieme di fattori non più controllabili e non più gestibili in modo diverso.

Le cure palliative

I due relatori, Pierantonio Zanettin (FI) e Ignazio Zullo (FdI), insieme al Comitato ristretto di cui fanno parte rappresentanti di tutti i partiti, stanno provando a gettare le basi per procedere a un nuovo testo unificato. Dal dibattito interno alle commissioni sembra che siano emersi tre nodi specifici: l’obiezione di coscienza, la composizione dei comitati etici, e le cure palliative.

A proposito di queste ultime, a 15 anni dalla legge che ne prevede la definizione e sancisce il diritto a riceverle, sorprende la diversità degli approcci nella loro valutazione. Per FdI costituiscono una sorta di passaggio necessario, prima di accedere alla prospettiva del suicidio assistito; per il Pd sono un diritto e non un obbligo, paventando il rischio che si convertano in una sorta di Trattamento sanitario obbligatorio (TSO); per FI hanno un ruolo importante per evitare una deriva eutanasica.

Ma vorremmo che nella futura legge le cure palliative, il loro diritto a riceverle, la loro qualità, l’accessibilità anche a livello domiciliare, la competenza specialistica dei professionisti, le risorse necessarie, venissero garantite a 360 gradi e che nessuno le confondesse con un TSO. Farne esperienza è un diritto che rende più liberi i pazienti, anche nel caso in cui poi dovessero rifiutarle.

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