Alle elezioni comunali di Monfalcone una comunità islamica del 30% chiama alle urne il centrodestra a trazione Lega. Partito islamico fermo al 2,94%

I risultati delle elezioni comunali di Monfalcone hanno confermato la vittoria del centrodestra, con 8.272 voti complessivi (70,87%) andati al candidato Luca Fasan (Lega), sul centrosinistra, che ottiene il 16,19% dei voti. Ma soprattutto hanno mostrato la sostanziale irrilevanza della lista “Italia Plurale” di Bou Konate, capolista e responsabile della moschea locale, che non è andata oltre il 2,94% delle preferenze.



Di fatto la popolosa comunità islamica presente a Monfalcone con una percentuale che sfiora il 30% non si è riconosciuta nella lista fatta di soli cittadini di religione e di appartenenza islamica (perché l’islam, come è noto, non è solo una religione, ma anche una cultura, un modello di vita e un legame di appartenenza).



Si possono qui formulare diverse ipotesi, ma ce n’è una che appare più probabile delle altre ed è costituita dal desiderio di una larga maggioranza dei cittadini islamici che vivono in Italia, di non aspirare affatto ad un’islamizzazione del territorio. Una volta dinanzi ad una società che ha risolto i loro problemi del lavoro e dei servizi in modo più che soddisfacente, la maggioranza degli immigrati predilige un’integrazione moderata. Se una tale ipotesi è verosimile, allora occorre pur dire che il proscenio è occupato stabilmente, ed in modo assolutamente indebito, da una minoranza che si erge a rappresentante di un universo che, di fatto, non la riconosce.



Come è noto, nella semplificazione mediatica si è soliti presentare il rapporto tra culture come il confronto tra modelli di vita contrapposti e irriducibili tra loro. Dal fortunato articolo di Samuel Huntington del 1993, ma prima ancora da libri come quello di Enzo Pace del 1990 e quello di Gilles Kepel del 1991 (senza contare la vasta tradizione di studi che li ha preceduti), l’idea che un vero e proprio scontro di civiltà sia già in atto ha convinto molti, ed è apparsa tragicamente confermata da quando, con lo sviluppo nel mondo islamico di una vera e propria narrazione di guerra contro l’Occidente concepito come il male assoluto, si è arrivati al tragico attentato alle Torri Gemelle del 2001.

Queste tesi conservano tutta la loro validità, lo scontro tra civiltà esiste, ma a questa tesi ne va anteposta un’altra: quella della libertà ultima dei singoli di scegliere, di derogare e ricomporre la loro cultura di appartenenza una volta posti a confronto con un’altra.

Esattamente come le religioni praticate sono a volte ben lontane da quelle declamate, anche le culture, a loro volta, conoscono percorsi di riadattamento e di ricomposizione quando si trovano a dover convivere in contesti culturalmente diversi; così come quando, al contrario, dovendo sopportare periodi storici di conflitto frontale, si trovano a rifugiarsi dietro gli assoluti, riducendo gli spazi di ogni libera scelta.

Gli immigrati di religione islamica non hanno mai rappresentato un problema nelle nazioni europee fino a quando l’ayatollah Khomeini non ha dato vita alla isterica rivoluzione islamica del 1979. Per decenni, prima di questa tragedia identitaria a deriva fondamentalista, per gli islamici immigrati avveniva un franco processo di adattamento non appena iniziavano a vivere ed operare in terra europea. Costumi, principi, tradizioni e valori restavano gli stessi, ma l’idea di separarsi dal carro occidentale, manifestando ad ogni passo la propria diversità, ostentando barbe, hijab e chador, non era in nessuna delle loro intenzioni.

Nella Francia degli anni Sessanta e Settanta, per fare un esempio che credo estendibile a tutti gli altri Paesi europei Italia inclusa, nessuno avrebbe pensato alle proprie periferie come ai “territori perduti della repubblica”, come invece avverrà nel 2002.

In realtà ogni cultura, una volta immersa in un nuovo contesto, non conosce solamente il conflitto frontale, ma anche la ricomposizione, l’adattamento e la negoziazione. Come sanno perfettamente i milioni di emigrati che dal Sud del mondo sono andati al Nord e da Est sono andati ad Ovest prima degli anni Ottanta, oramai così tristemente lontani.

Sono invece le tensioni politiche, le strategie della tensione continua e del conflitto a tutti i costi – un vero e proprio “partito della guerra” in servizio permanente effettivo – che alimentano e costantemente inneggiano ai deliri di uno scontro frontale di fatto irrealizzabile.

Il silenzio dei musulmani di Monfalcone, espresso verosimilmente nel non andare alle urne (visto che ha votato solamente il 57% degli aventi diritto) o comunque nel non riconoscersi nella lista Italia Plurale di Bou Konate, non è archiviabile come un gesto di semplice indifferenza politica. Dietro possono esserci tanto un percorso di rifiuto della contrapposizione e del conflitto, quanto un cammino di adattamento al mondo, di ricostruzione di una nuova modalità di presenza dentro un mondo nuovo che hanno finito con il preferire.

Tutti gli immigrati islamici che non hanno votato per la lista islamica hanno di fatto compiuto una scelta silenziosa che non può e non deve passare inosservata. Non si può non augurare a tutti costoro di poter praticare una scelta tra orizzonti di vita che sia sempre più libera.

Alla vigilia della Pasqua non è poi così illusorio augurarsi che, con tutti i limiti e le manchevolezze del nostro universo europeo, questo loro rifiuto di sottoscrivere la retorica ipotesi di un’enclave islamica in terra di infedeli sia una scelta sempre più libera, suggerita dall’attrattiva delle nostre libertà individuali e della nostra società democratica.

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