La terza stagione della serie Fondazione segna la crisi esistenziale di Hari Seldon, che scopre come i comportamenti umani non siano prevedibili
La terza stagione di Fondazione – la serie Apple ispirata ai racconti di Isaac Asimov – alza la posta in gioco con l’arrivo di una nuova variabile nel cosmo della psico–storia di Hari Seldon: Il Mulo, un’entità che la matematica non aveva previsto, e che porta caos e incertezza.
Questo ribaltamento narrativo mette in discussione le certezze di Seldon, costringendolo a misurarsi – ormai nella sua forma di ologramma – con un fondamentale elemento filosofico: l’imprevedibilità della condizione umana.
Così il crollo dell’onniscienza genera nel padre della psico-storia una vera e propria crisi “esistenziale”: scopre che la sua coscienza è stata “modificata”, che è diventato un pezzo su una scacchiera, non è più il solo giocatore. Questa consapevolezza scuote la sua identità, rivelando la fragilità del suo potere, i limiti insiti nella volontà di controllare la storia.
La terza stagione di Fondazione segna un passo avanti importante (manca all’appello solo l’ultima puntata, in arrivo venerdì e che si preannuncia assai intensa) riuscendo a mantenere l’impatto visivo e narrativo delle prime due stagioni, ma spingendosi più in profondità sul piano filosofico.
Al centro resta la figura di Hari Seldon, interpretato da Jared Harris (Mad Men, Chernobyl), che vive – chiuso nel suo tempio sul pianeta Terminus – una crisi quasi esistenziale: la sua creatura, la psico–storia, costruita come scienza infallibile, si è incrinata di fronte all’arrivo del Mulo, variabile imprevedibile e incontrollabile. Il padre della psico-storia ridiventa così un uomo che non è più il giocatore, ma una pedina della sua stessa teoria, improvvisamente fragile, umano, insicuro.
Accanto a lui emerge con forza il ruolo di Gaal Dornick, interpretata da Lou Llobell, che da giovane allieva è diventa fondatrice e leader della Seconda Fondazione.
È lei l’erede spirituale del progetto di Seldon. Ma se la scienza può prevedere i comportamenti delle masse, non può anticipare le ribellioni individuali: qui entra in gioco Il Mulo, interpretato da Pilou Asbæk (Game of Thrones), antagonista feroce e imprevedibile che con la sua sola esistenza manda in frantumi i calcoli matematici, portando all’autodistruzione la vecchia Fondazione e quello che resta dell’Impero.
Proprio sul versante dell’Impero, Fratello Giorno (interpretato da Lee Pace Pushing Daisies, Guardiani della Galassia) si è trasformato da autorità assoluta a figura quasi grottesca, ironica, a tratti disincantata: un imperatore che perde per amore il controllo e con esso la sua identità.
A completare il quadro della crisi irreversibile dell’Impero Galattico c’è Lady Demerzel, ruolo affidato a Laura Birn (The Snow Queen), che vive un conflitto interiore che non è in grado di risolvere: è l’unico robot sopravvissuto, è vincolata al servizio dell’Impero, ma le emozioni la tradiscono, rivelando una tensione continua tra natura artificiale e umanità nascente.
La terza stagione di Fondazione è una miscela magnifica di visioni filosofiche e spettacolo galattico. In un contesto dove anche i calcoli più precisi vacillano, il pensiero di Seldon diventa fragile, umano, quasi poetico: l’imprevedibilità è la vera legge dell’universo. Mai come in questo momento le previsioni catastrofiche di Asimov si avvicinano alla nostra realtà di tutti i giorni.
La serie Fondazione continua a colpire per la spettacolarità visiva, per l’uso quasi pittorico degli spazi e delle battaglie, ma soprattutto per quella vena filosofica che la rende diversa dalle altre grandi saghe di fantascienza. L’idea di Seldon che tutto possa essere previsto si infrange contro l’evidenza del caso, del caos, dell’imprevedibile. È lì che l’idea di Fondazione (ora definitivamente sostituita dalla Seconda, che appartiene a Gaal) trova la sua forza: nello svelare che a muovere la storia non sono i numeri, ma le contraddizioni, le ribellioni e gli imprevisti, generati dagli individui.
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