Al Meeting di Rimini due mostre per due uomini di Dio: san Francesco d’Assisi e sant’Ermanno di Reichenau. Umiltà e letizia, le due facce di una stessa fede

“Ricordando ogni giorno che anche tu dovrai morire, preparati con tutte le tue energie per intraprendere lo stesso viaggio”. Sarebbero state queste le ultime parole del beato Ermanno di Reichenau (1013-1054), conosciuto anche come Ermanno il Contratto, o Ermanno lo Storpio, gravemente menomato nel fisico ma che divenne la “meraviglia” del suo tempo, parole rivolte all’amico e biografo Bertoldo dal suo letto di morte.



Nell’agitata notte precedente, ispirato dall’Hortensius di Cicerone, contenente molte sagge osservazioni sul bene e sul male, lo stesso Ermanno era giunto alla convinzione che “tutto il mondo presente e tutto ciò che ad esso appartiene, questa vita mortale, era divenuta meschina e tediosa […] il mondo futuro, che non avrà termine, e la vita eterna, sono diventati indicibilmente desiderabili e cari, così che io desidero tutte queste cose passeggere non più che la impalpabile calugine del cardo”.



Settant’anni dopo Francesco d’Assisi – in prossimità della sua salita al Cielo – tornerà sul passaggio dalla vita terrena alla vita eterna con la sublime poesia dei versi del Cantico delle creature (noto anche come Cantico di Frate Sole): “Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,/ da la quale nullu homo vivente po’ skampare”.

E nelle sue stupende Lodi di Dio Altissimo, l’irraggiungibile inno che celebra la grandezza, la forza e la bellezza del Signore, il Poverello così si rivolge tra l’altro all’Onnipotente: “Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza […] Tu sei la nostra vita eterna”.



Francesco inviterà i suoi seguaci e confratelli a concepirsi stranieri e pellegrini in questo mondo, avendo come unica preoccupazione di “vivere secondo  la perfezione del santo Vangelo”. La medesima preoccupazione di Ermanno lo Storpio.

Giotto, “San Francesco riceve le stimmate” (1317-25, Cappella Bardi, Firenze)

Domani il Meeting si chiude con l’atteso incontro sui Santi nuovi, ovvero Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che saranno canonizzati da Leone XIV il prossimo 7 settembre. Ragazzi del nostro tempo, morti per malattia nel fiore degli anni e chiaro esempio di una fede solida pur nella sofferenza, sono il punto di riferimento ideale per i giovani nell’anno del Giubileo.

Ma la Chiesa nei secoli è ricca di innumerevoli storie di santità, che andrebbero conosciute o conosciute meglio: uomini e donne che hanno testimoniato la centralità di Cristo nella loro vita, spesso fino al martirio, il dono totale di sé. Così i 19 beati martiri d’Algeria – a cui il Meeting ha dedicato una mostra e un incontro – sono l’esempio di una fede consapevolmente vissuta e testimoniata con coraggio nei tempi difficili in cui viviamo, ma dal passato più lontano emergono tanti modelli esemplari di vita cristiana.

Sia il Santo d’Assisi che Ermanno sono tra questi e le mostre a loro dedicate a  Rimini meritano di essere visitate con cuore aperto e disposizione all’ascolto. Il primo è universalmente conosciuto ma quasi sempre travisato, ridotto a una star, osannato come l’alfiere dei poveri e primo sponsor dell’ambientalismo, il secondo sostanzialmente ignorato perché scomodo, perché la sua straordinaria esistenza terrena contraddice l’ideologia oggi dominante a tutte le latitudini della vita sana, del benessere e dell’efficienza a ogni costo, quell’ideologia che alimenta la “cultura dello scarto” contro cui spesso si è scagliato papa Bergoglio.

Entrambi si sentivano persone vive innanzitutto perché “abbracciati” dall’amore di Cristo, il solo capace di trasformare il loro limite in pienezza e il loro dolore in gloria. Avevano compreso che era loro chiesto di custodire e far fruttare il tesoro racchiuso nel loro “vaso di creta”.

Nella Preghiera davanti al Crocifisso così si esprime Francesco: “Alto e glorioso Dio,/ illumina le tenebre de lo core mio./ E dammi fede dritta,/ speranza certa e caritade perfetta,/ senno e cognoscimento”. Lo Storpio, nella premessa al suo geniale trattato De Mensura Astrolabii, con l’ironia che lo caratterizzava malgrado la sua condizione miserevole (era “amichevole e sempre ridente”), si presenta come “Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca”.

Umiltà e letizia, le due facce di una stessa fede autentica. Accompagnata dalla misericordia. In una lettera il Santo di Assisi così esorta: “Che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede […] e abbi sempre misericordia di tali fratelli”.

La storia di Ermanno di Reichenau dimostra che anche nelle condizioni più difficili e apparentemente senza via d’uscita, anche in deserti in cui nessun fiore sembra spuntare, è possibile il miracolo di una fioritura umana, perché tutti, nessuno escluso, siamo chiamati a guardare in alto.

La mostra si conclude accostando alla figura del monaco tedesco le bellissime testimonianze dei genitori di tanti (e tante) “piccoli Ermanni”, colpiti da gravi handicap, che vivono oggi accanto a noi, di cui ignoriamo l’esistenza ma che hanno tanto da insegnarci. Soltanto dentro un rapporto vero con loro, dentro un amore ispirato all’amore di Cristo, “la sofferenza prende un significato diverso, la fatica si può fare”, come dice in un toccante filmato visibile nell’ultima sala Veronica, la mamma di Tobia.

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