Si torna a parlare della ripresa delle forniture di gas russo per affrontare la crisi dei prezzi: tra favorevoli e contrari, la Commissione UE tace
Dopo le recentissime voci che parlano di un Donald Trump al lavoro per raggiungere un accordo di pace tra Ucraina e Russia, sul territorio dell’UE si entra sempre più nel vivo dello scontro in merito ad una possibile ripresa delle forniture di gas russo che darebbero – almeno, potenzialmente – una rinvigorita alla produttività del vecchio continente che dopo aver attraversato la feroce crisi energetica tra il 2022 e il 2023 si trova al centro di un nuovo (per ora) lieve shock: l’origine sembra essere la chiusura dell’ultimissimo condotto che riforniva di gas russo l’UE passando dall’Ucraina, con i prezzi stock che da gennaio sono tonati ad aumentare fino alla soglia di 58 euro a megawattora.
Di fatto attualmente – senza l’apporto del gas russo – il prezzo della materia prima energetica sul territorio europeo ha toccato il livello massimo degli ultimi due anni ed è proprio in questo contesto che si inserisce l’attuale dibattito; ma prima di arrivarci è anche importante ricordare e precisare che allo stato attuale il piano ufficiale della Commissione UE è quello di fare completamente a meno delle forniture del Cremlino entro il 2027 affidandosi ad altri fornitori – tra i quali il Qatar e gli USA sono in primissima posizione – in modo da ridurre al minimo la dipendenza energetica estera.
Perché si discute sul gas russo: dai prezzi alle stelle all’industria UE che rallenta, cosa succede?
A riportare in auge il tema del gas russo sarebbero delle recentissime voci – di cui vi avevamo già parlato in quest’altro articolo solo pochi giorni fa – che hanno ipotizzato la possibilità di trattare la ripresa delle forniture per ammorbidire la posizione negoziale della Russia e spingerla a trattare con l’Ucraina: di fatto la Commissione non si è ancora espressa sull’ipotesi; e mentre a spingerla ci sarebbero almeno la Slovacchia e l’Ungheria, i paesi al confine europeo (nei quali transitano i gasdotti del Cremlino) hanno saldamente tirato il freno a mano.
Al di là dei singoli sentimenti europei sul gas russo – comunque – a rendere ancora più importante ed urgente il tema ci sarebbero almeno due aspetti: da un lato il fatto che attualmente gli stoccaggi europei sono pieni solamente al 48% e dovranno essere riportati – da regolamentazione – al 90% entro il primo novembre proprio nel periodo di picco dei prezzi; mentre dall’altro lato non si può ignorare che da gennaio a questa parte le grandi industrie europee hanno rallentato la loro produzione proprio in virtù degli elevati costi energetici che sono costrette ad affrontare, con il concreto rischio di una consistente perdita del PIL del blocco in un periodo di innegabile debolezza economica.
