Gli Usa e Israele hanno negato ai palestinesi diritto di rappresentanza in sede Onu. A Gaza procede indisturbato il tradimento della comune umanità

Non era mai successo prima. Gli Usa hanno revocato i visti ad Abu Mazen e ad altri 80 membri dell’ANP in vista dell’Assemblea generale dell’Onu. In passato erano state adottate severe restrizioni nei confronti di funzionari di nazioni antagoniste, ma mai la revoca.

L’azione ha un duplice significato politico. Da un lato l’affermazione che i palestinesi non hanno diritto a una reale rappresentanza al Palazzo di Vetro, e dall’altro il non riconoscimento di fatto della sovranazionalità dell’ONU.



Le motivazioni addotte per le revoche sono circostanziate, ma il dramma ricade ancora una volta su un popolo che non può vivere in pace. Gaza vive la catastrofe definitiva a seguito delle scellerate azioni di Hamas (uccisioni e violenze contro uomini, donne e bambini nel pogrom del 7 Ottobre) e della decisione conseguente del governo israeliano di farla finita con la questione palestinese. Anche la Cisgiordania, infatti, è soggetta alle pressioni costanti e alle continue occupazioni di terre da parte dei coloni. A tali violenze, ormai ripetute, nessuno intende porre freno.



La revoca dei visti fa seguito inoltre a una serie di notizie vorticose e drammatiche. In una riunione ristretta tra capi politici è stato riproposto ultimamente il progetto di “Gaza Riviera”, promosso anche dai responsabili della controversa Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Era presente tra gli altri Tony Blair, che in passato aveva sostenuto l’invasione dell’Iraq, inizio della destabilizzazione mediorientale.

L’ipotesi condivisa dai leaders di una sorta di avveniristica e inquietante riqualificazione dell’area avviene, però, proprio nel mezzo di una tragedia in atto. Si parla, insomma, di un fantastico e scintillante futuro programmato senza un popolo, ignorando il tremendo presente che sconvolge gli ostaggi e i civili inermi.



La catastrofe che accade davanti ai nostri occhi continua a tutti i livelli ad essere annacquata o negata. Lo sfollamento di massa viene minimizzato in tutta la sua gravità e le sue terribili conseguenze, nonostante le imponenti manifestazioni della società civile israeliana che vuole il cessate il fuoco e le precedenti contrarietà di ben 600 membri della sicurezza israeliana.

Si assiste così al direttore di giornale che in tv parla di evacuazione umanitaria dei civili, anziché di spostamento forzato. Non bastano le parole di contrarietà del giornalista nello studio televisivo: gli innocenti che muoiono di fame non esistono. C’è, poi, il surreale influencer che ci fa vedere Gaza piena di cibo, dimenticando che la sicurezza alimentare nella Striscia è finita già da troppi mesi. C’è, infine, il politico di professione che rassicura che saranno prese iniziative a favore del popolo palestinese, ma sembrano le famose promesse da marinaio: non si vede niente a livello umanitario e non si fa nulla a livello etico-politico.

Eppure, mentre l’UE latita e non assume iniziative degne di questo nome, c’è chi parla con coraggio. “Gaza è piena di macerie” ha dichiarato António Guterres, segretario generale dell’ONU, “piena di cadaveri e piena di esempi di quelle che potrebbero essere gravi violazioni del diritto internazionale. Gli ostaggi presi da Hamas e altri gruppi devono essere rilasciati e il trattamento atroce che sono stati costretti a subire deve cessare. I civili devono essere protetti. Diciamolo chiaramente: i livelli di morte e distruzione a Gaza non hanno eguali negli ultimi tempi. La carestia non è più una possibilità incombente: è una catastrofe attuale”.

Proteste palestinesi a Gaza City contro l’operazione di Israele (ANSA-EPA 2025)

Non manca il giudizio di Mirjana Spoljaric, presidente della Croce Rossa Internazionale: lo spostamento forzato di 1 milione di gazawi non solo è impossibile, ma anche irrealizzabile in modo sicuro “data la diffusa distruzione delle infrastrutture civili e l’estrema carenza di cibo, acqua, riparo e cure mediche”.

Si è fatto sentire in questi giorni anche il portavoce della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa (IFRC) Tommaso Della Longa che ha detto: “Abbiamo tonnellate di aiuti bloccate ai valichi, alcune stanno marcendo, in Egitto è stato necessario individuare nuovi depositi perché quelli nei pressi del confine erano pieni e la gente muore di fame perché non c’è modo di farli entrare”.

L’allarme umanitario è stato rilanciato dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. Il portavoce dell’agenzia ha avvisato giovedì che Gaza è ormai “al punto di rottura” e ha chiesto di potere riaprire la rete di 200 punti di distribuzione alimentare contro la fame.
La direttrice esecutiva del PAM, Cindy McCain, ha dichiarato, inoltre, di avere visto una disperazione diffusa nella Striscia, e di aver incontrato bambini palestinesi denutriti e impauriti, che ha definito “ormai irriconoscibili” rispetto ai volti ritratti nelle fotografie scattate quando erano in salute. I traumi della guerra protratta, la cronica carenza di cibo e il collasso del sistema sanitario hanno effetti gravi su tutti.

C’è poi lo scandalo degli ammazzati in fila per mangiare: l’altro ieri 11, ma non è la prima volta. In passato Haaretz aveva fatto un’inchiesta documentata su tali stragi. E oltre 170 ONG umanitarie avevano chiesto la chiusura dei centri GHF per le loro evidenti, gravi e strutturali criticità. Secondo diverse ONG sono un migliaio gli uccisi vicino ai centri di distribuzione GHF.

Nel mondo della negazione dei fatti e dell’età della barbarie “ritornata” – come direbbe Vico – tutto è diventato possibile e lecito, anche il male contro gli affamati.

In questa immane tragedia, che è partita con il pogrom del 7 Ottobre, si assiste con dolore al tradimento della comune umanità. Ora, però, l’inerzia va contrastata. Ha diritto di parola solo chi c’è e vede la realtà. Solo chi pone l’urgenza del soccorso immediato ai sofferenti può essere ascoltato. Le bandiere, perciò, non hanno più lo stesso valore. La bandiera dell’UE è offuscata dalla nebbia, quelle di altri stati sono visibilmente ammainate. Si vedono in alto solo le bandiere dell’ONU e della Croce Rossa.

 

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