Londra e Parigi riconosceranno lo stato di Palestina, come già 147 stati. Un atto che afferma i diritti dei palestinesi, contro le violazioni di Israele
Francia e Gran Bretagna hanno annunciato il prossimo riconoscimento dello Stato di Palestina. Altri, come Canada e Australia, ci stanno pensando. Prima di loro, 147 Paesi hanno fatto il grande passo che fa infuriare Israele, che lo interpreta come una sorta di favore ad Hamas e al terrore del 7 Ottobre.
In realtà, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea nell’Università La Sapienza di Roma, il riconoscimento della Palestina come Stato serve a stigmatizzare l’occupazione dei territori da parte degli israeliani e anche ad affermare l’autodeterminazione dei palestinesi, che invece rischiano di essere deportati dalla loro terra.
D’altra parte, il riconoscimento internazionale della Palestina si pone nel solco di una serie di decisioni dell’ONU che ne sanciscono il diritto a esistere e si oppongono di fatto ad atti unilaterali di Israele di usurpazione di territori della Cisgiordania. GENOCIDIO IN PALESTINA/ “L’Ue ha il diritto e il dovere di sospendere l’accordo di associazione con Israele”
Le decisioni dei 147 Stati e quelle che verranno sono arrivate sulla scorta della scelta di Israele di bloccare gli aiuti umanitari per Gaza: una circostanza che avvicina sempre di più Tel Aviv all’accusa di genocidio. Intanto la Lega Araba ha firmato una dichiarazione all’ONU che condanna l’attacco del 7 Ottobre, invitando Hamas a rilasciare gli ostaggi per porre fine alla guerra, riproponendo la realizzazione di due Stati.
Ad oggi 147 Stati, compreso il Vaticano, hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Cosa implica a livello di diritto internazionale per quanto riguarda lo Stato riconosciuto?
Il riconoscimento di uno Stato è una nozione del diritto internazionale. Esso indica che, secondo lo Stato che riconosce, lo Stato riconosciuto possiede i requisiti della statualità. Ma il significato politico del riconoscimento della Palestina va oltre il significato giuridico. Nella situazione di un territorio occupato, come quello palestinese, il riconoscimento serve a indicare l’illegittimità dell’occupazione e la necessità di consentire l’autodeterminazione del popolo palestinese. Ricordo che la Corte internazionale di giustizia ha indicato, in un parere del 2024, che Israele ha l’obbligo di ritirarsi dai territori occupati, proprio al fine di consentire lo stabilimento di un’autorità statale in quei territori. Ricordo ancora che l’Assemblea generale ha ammesso la Palestina come Stato osservatore, attribuendogli uno status molto vicino alla piena partecipazione come Stato membro. Ciò è avvenuto nell’aprile 2024, quando gli Stati Uniti hanno posto il veto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza che invitava lo Stato di Palestina ad aderire alle Nazioni Unite come membro a tutti gli effetti.
Dopo la Francia, anche la Gran Bretagna annuncia che riconoscerà lo Stato di Palestina se non ci sarà un cessate il fuoco entro settembre. Come giudica politicamente questa scelta e che cosa cambia a livello di diritto internazionale?
È verosimile che gli eventi della guerra di Gaza abbiano accelerato la decisione di riconoscere lo Stato di Palestina da parte di alcuni Stati occidentali, finora alleati con Israele. Questi eventi, inclusa l’atroce decisione di Israele di bloccare gli aiuti umanitari, condannando la popolazione palestinese civile alla fame, hanno maturato la convinzione nell’opinione pubblica mondiale e in alcune cancellerie degli Stati che l’intento di Israele sia quello di costringere la popolazione a lasciare Gaza. Se così fosse, l’azione di Israele, che dall’inizio della guerra ha mostrato un supremo disprezzo per il diritto umanitario, potrebbe essere qualificata davvero come un atto di genocidio.
Al di là del riconoscimento da parte dei singoli Stati, quali sono le procedure che bisogna seguire per arrivare a una decisione della comunità internazionale che sancisca la nascita dello Stato di Palestina?
Il riconoscimento è un atto unilaterale di ciascuno Stato. Già 147 Stati hanno riconosciuto la statualità della Palestina. Ora anche alcuni fra i più stretti alleati di Israele prendono le distanze dalle politiche israeliane, comprese, ovviamente, le azioni dei coloni nella Cisgiordania tollerate dal governo. Israele, che qualcuno qualifica come l’unica democrazia del Medio Oriente, sta diventando un paria nella comunità internazionale, la quale ha i propri standard di democrazia. Uno Stato che aggredisce la popolazione che ha il dovere di proteggere, che la affama, che tollera un regime di apartheid, non può essere in linea con questi standard.
In che modo la posizione degli Stati Uniti, e la vicinanza degli Stati Uniti a Israele, condizionano questo quadro di legittimità internazionale?
L’alleanza con gli Stati Uniti è preziosa per Israele: consente di dotarsi di armi tecnologicamente superiori a quelle di qualunque altro Stato nel Medio Oriente. Gli USA bloccano sistematicamente qualsiasi proposta di risoluzione del Consiglio di sicurezza. Io ritengo che questa alleanza acritica degli Stati Uniti faccia male a Israele. Ingenera nella dirigenza israeliana un senso di onnipotenza. Ma nessuno Stato al mondo, neanche gli Stati Uniti, può a lungo sfidare le regole del diritto internazionale. Israele ha respinto con disprezzo le richieste degli Stati occidentali di rispettare uno standard minimo del diritto umanitario. Credo che questa situazione non possa perpetuarsi.
Cosa cambierebbe sotto il profilo del diritto internazionale l’annessione della Cisgiordania e l’occupazione di Gaza?
Sarebbe una violazione di vari principi fondamentali del diritto internazionale, il quale, è banale dirlo, assicura una coesistenza più o meno pacifica fra gli Stati.
Ci sono risoluzioni o prese di posizione dell’ONU o comunque di organismi internazionali che pongono le basi di un possibile Stato palestinese?
L’origine del conflitto risiede nella risoluzione 181 (1947) dell’Assemblea generale, che ha assegnato i territori della Palestina a Israele e agli Stati arabi, assegnando uno status internazionale alla città di Gerusalemme. Ciò portò alla prima guerra del 1948. Poi, al termine della guerra dei sei giorni, il Consiglio di sicurezza adottò la risoluzione 242 del 1969, che ordinò a Israele l’evacuazione dei territori occupati. Più di recente il Consiglio di sicurezza ha adottato il modello dei due Stati, con la risoluzione 1515 (2003) e successivamente la risoluzione 1515 (2003). Ma il problema si è trascinato fino ad oggi.
Ci sono altri strumenti di pressione che la comunità internazionale può utilizzare per cambiare l’atteggiamento di Israele? La UE sta pensando di fermare i rapporti di collaborazione nella ricerca: si può arrivare a sanzioni contro Tel Aviv?
L’Unione Europea ha il diritto e il dovere di sospendere l’accordo di associazione con Israele. L’art. 2 dell’accordo indica, infatti, che il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale è un obbligo essenziale, la cui violazione potrebbe comportare, appunto, la sospensione dell’accordo. Inoltre, l’art. 3, par. 5, e l’art. 21, par. 1 e 2 del Trattato sull’Unione impongono standard stringenti nella politica estera dell’Unione. Ma alcuni Stati membri, fra i quali l’Italia, hanno posto il veto.
(Paolo Rossetti)
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