È ufficialmente iniziato il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca. Dal punto di vista economico sono diversi i nodi che il nuovo Presidente dovrà affrontare, dai dazi all’aumento della produzione interna, diminuendo le importazioni, passando per l’inflazione e il valore del dollaro sui mercati valutari. Proprio su quest’ultimi due temi si potrebbe rischiare uno scontro tra Trump e la Federal Reserve? «Non parlerei di scontro, ma di una forte differenza di opinioni – risponde Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino -. Il mandato di Powell alla guida della Fed scadrà nel maggio dell’anno prossimo e questo rafforza l’indipendenza della Banca centrale americana fino ad allora. Non mancheranno, quindi, prese di posizione della Casa Bianca, magari “morbide”, ma non penso ci sarà alcuno scontro aperto».
Il cambio euro/dollaro è arrivato ormai alla parità. Trump cercherà da subito di evitare di avere una valuta troppo forte?
Penso che per lui la priorità, viste le tante dichiarazioni degli ultimi mesi sul tema, sarà passare dalle parole ai fatti sui dazi. Già nell’ultimo periodo, proprio nella previsione dell’adozione di più alte tariffe doganali generalizzate, negli Stati Uniti c’è stata un’accelerazione delle importazioni. La Casa Bianca dovrà, però, scegliere come muoversi su questo terreno facendo attenzione a non creare problemi all’economia americana, in particolare tramite un aumento dell’inflazione.
I buoni rapporti tra la nuova Amministrazione e il nostro Governo potranno evitare dazi penalizzanti per le merci italiane?
Credo che in questa prima fase la Casa Bianca opterà per dazi simbolici evitando quelli più generalizzati che potrebbero creare conseguenze più importanti sull’economia americana. Può darsi che in questo modo sia possibile evitare di penalizzare alcuni prodotti di un Paese specifico, cosa molto difficile altrimenti da fare nel caso di tariffe doganali più generalizzate che riguarderebbero tutta l’Ue. I buoni rapporti tra Trump e il nostro presidente del Consiglio potrebbero forse favorirci in alcuni specifici settori come la difesa, con nuove commesse per le nostre imprese.
C’è chi vede nell’Italia un possibile ponte tra Ue e Usa. Cosa ne pensa?
Dal punto di vista politico potrebbe anche essere così, mentre da quello economico mi pare di no: l’Ue ha i suoi organi, i suoi strumenti e sulle questioni commerciali i singoli Paesi membri non toccano palla. Per chiudere il discorso sulla nuova Amministrazione Trump, penso che vorrà arrivare a una chiusura della guerra in Ucraina, anche se non è ben chiaro con quali modalità. Il nuovo Presidente americano rivendica un ruolo di contrattazione con Putin che in Europa non siamo stati in grado di avere negli ultimi tre anni.
Nelle scorse settimane sono usciti i dati sull’inflazione di dicembre negli Stati Uniti e nell’Eurozona. Pensa ancora che le strade di Fed e Bce sui tassi siano destinate a separarsi?
La mia impressione è che l’inflazione core non stia diminuendo né negli Stati Uniti, né nell’Eurozona. Il che rende più incerte le decisioni delle Banche centrali. Ritengo che la Fed lascerà invariati i tassi, almeno in questa fase iniziale dell’anno, mentre la Bce, vista anche la situazione economica, e il secondo anno consecutivo di recessione per la Germania, potrebbe decidere di tagliarli. Attenzione, però: non basterà certo una riduzione del costo del denaro a far uscire l’Eurozona dalla stagnazione.
Che la situazione dell’economia europea sia difficile è stato ribadito sia dal Fondo monetario internazionale la scorsa settimana che dal World economic forum in corso a Davos. Cosa occorre fare per stimolare una ripresa?
Ci vuole ben altro che la boccata d’ossigeno che un taglio dei tassi potrebbe dare. Occorre un cambiamento strutturale nelle competenze all’interno dell’Ue. La prospettiva deve essere quella di spese centralizzate, come si ipotizza per la difesa, e di investimenti realizzati tramite l’emissione di debito comune in settori come le nuove tecnologie, l’istruzione e la ricerca.
Il debito pubblico italiano a novembre dello scorso anno ha superato quota 3.000 miliardi di euro. Quanto ci dobbiamo preoccupare?
In questo momento le preoccupazioni maggiori degli investitori riguardano la Francia, dove un Governo che è di fatto privo di una maggioranza in Parlamento deve approvare provvedimenti importanti come la riforma delle pensioni. La stabilità politica favorisce l’Italia agli occhi degli investitori, così come il Piano strutturale di bilancio varato dal Governo, contenente un rapido rientro dal deficit eccessivo, che è stato promosso da quella stessa Commissione europea che pochi mesi prima sul tema aveva avviato una procedura d’infrazione nei riguardi del nostro Paese.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.