Non è certo per coincidenza che il 55esimo World economic forum inizi lo stesso giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. È probabile, anzi, che gli organizzatori abbiano inizialmente cercato la simultaneità, ma forse con un’attesa simbolica molto diversa: quella dell’avvio di un secondo mandato per Joe Biden. Che un anno fa, fra le nevi svizzere, appariva probabile se non addirittura scontato. Così come nessuno avrebbe seriamente scommesso sulla crisi contemporanea della Francia di Emmanuel Macron (archetipo di leader “modello Davos”) e della Germania rosso-verde. Nessuno avrebbe puntato un centesimo nemmeno sulla “newcomer outsider” Giorgia Meloni: incoronata invece alla fine dell’anno “governante più potente dell’Europa” da Politico, testata profondamente “davosiana” fra le due sponde dell’Atlantico.
Dodici mesi dopo Macron non è in cartellone al Wef Annual Meeting – almeno per ora – così come la Premier italiana, che oggi sarà invece a Washington (il Governo di Roma è rappresentato, in agenda, dal ministro per la Salute Orazio Schillaci). Trump potrebbe intervenire giovedì in video: naturalmente fino all’ultimo in black box riguardo temi e toni. La Germania porterà direttamente a Davos la sua imprevedibile campagna elettorale anticipata: domattina sarà sul palco il Cancelliere socialdemocratico uscente Olaf Scholz; nel pomeriggio l’assai probabile successore cristiano-democratico Friedrich Merz (è attesa anche un’altra democristiana tedesca: la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, reduce da settimane di malattia forse un po’ diplomatica). Ci sarà il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma ormai a fari semi-spenti. Da Israele è annunciato il presidente Isaac Herzog (il premier Bibi Netanyahu è ancora inseguito da un mandato d’arresto dell’International Criminal Court), mentre è stato invitato anche il Premier dell’Autorità nazionale palestinese Mohammed Mustafa.
Saranno assenti due ospiti a cinque stelle di passate edizioni: il leader cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin. E, salvo colpi di scena, non dovrebbero muoversi dal nuovo Global South nemmeno il Premier indiano Narendra Modi, né quello brasiliano Luiz Lula (è dato in arrivo invece invece l’argentino Javier Milei). È un quadro sintetico che segnala da solo la crisi profonda del “vangelo di Davos”: affinato nell’ultimo trentennio sui mantra della globalizzazione economica e dell’ordine mondiale ristabilito dopo la fine della Guerra fredda. Il Wef non appare più il luogo d’incontro dedicato di un pianeta liberato dalle guerre e avviato fiduciosamente verso una pretesa “fine della storia” di pace, sviluppo economico, affermazione graduale ma irreversibile – nel lungo periodo – di modelli politici liberali. Attorno alla Montagna Incantata di Thomas Mann la classe dirigente per eccellenza del pianeta sembra invece affannosamente impegnata a stendere filo spinato: per difendere la propria cultura di governance globale che si ritrova invece come principale imputata di un fallimento epocale, difficilmente negabile.
In ogni angolo del pianeta attorno alla Svizzera avanzano nel frattempo Paesi e forze politiche, economiche e culturali che hanno fatto di Davos il simbolo di ciò che combattono, che vogliono abbattere. Non diversamente, peraltro, il Wef si è affermato nel sostenere una lotta frontale e incessante a tutto ciò che si opponeva alla globalizzazione, alla finanziarizzazione, alla digitalizzazione, alla secolarizzazione di strutture economiche, istituzioni politiche e dinamiche sociali. E almeno a oggi, i Davos Men non intendono deflettere, anzi: sembrano voler resistere-resistere-resistere.
“Il mondo stabile è finito: ora cosa succederà?”. È il titolo di un op-ed comparso tre giorni fa sul New York Times a firma di Borge Brende, l’ex ministro degli Esteri norvegese che proprio a Davos 2025 succede al fondatore Klaus Schwab come Presidente del Wef. Le prime righe dell’intervento contengono già un giudizio secco, quasi una risposta inappellabile e rabbiosa: “Il mondo pare scivolare verso il massimo caos”. Solo i Profeti della Montagna Incantata possono dettare le tavole della legge a un mondo “ordinato”. Il nuovo mondo “caotico” si ravvedrà? I primi conti, certamente, saranno già tratti a Davos 2026. Ma difficilmente saranno gli ultimi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.