Giambruno parla del blitz notturno avvenuto sotto casa di Meloni, due agenti identificati come 007, un faccendiere si autoaccusa ma non convince

Il nome di Andrea Giambruno torna nei fascicoli della Procura di Roma per un episodio ancora avvolto da riserve e punti oscuri, una vicenda che riguarda due uomini dei servizi segreti interni avvistati sotto casa della premier Giorgia Meloni, all’Eur, nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2023, quando una Mercedes nera dai vetri oscurati passa più volte lungo la strada, si ferma, da lì scende un uomo che si avvicina a un furgone utilizzato per la posta destinata alla presidente del Consiglio, poi si sposta verso la Porsche di Giambruno, armeggia con un dispositivo, simile a un metal detector, tocca la carrozzeria, e sembra cercare qualcosa.



Giambruno non è presente, ma in zona c’è una pattuglia della polizia, uno degli agenti nota i movimenti e interviene, i due uomini mostrano un tesserino e si allontanano senza dare spiegazioni, i poliziotti relazionano, scattano gli accertamenti e dai confronti con le foto risulta che si tratta di personale dei servizi segreti interni, i due vengono successivamente trasferiti all’estero, uno in Iraq, l’altro in Tunisia, mentre uno degli agenti che li aveva riconosciuti viene spostato d’ufficio senza motivazioni ufficiali.



La targa della Mercedes risulta intestata all’Erario dello Stato, l’ipotesi iniziale di un furto viene accantonata e la presenza dei due uomini sotto l’abitazione della premier viene definita “attività riconducibile agli 007”.

Giambruno: un faccendiere si autoaccusa ma non ricorda nulla, l’interrogatorio, le telefonate e il caso fermo

Giambruno torna al centro dell’attenzione quando, qualche settimana dopo i fatti, un faccendiere si presenta spontaneamente agli investigatori sostenendo di essere lui l’uomo visto quella notte accanto all’auto, il racconto è impreciso, pieno di vuoti, le sue dichiarazioni non coincidono con quanto emerso dalle indagini, non ricorda dettagli e non fornisce un motivo credibile per trovarsi lì.



Durante l’interrogatorio, come annotato nei verbali, controlla il telefono, mentre chi conduce l’audizione riceve più telefonate da alti funzionari di polizia, una dinamica anomala che non contribuisce a fare chiarezza; Giambruno, intanto, resta legato a un’inchiesta che nel frattempo è passata dalla Digos alla squadra mobile, la procura acquisisce i filmati di sorveglianza, riceve una lettera dell’Aisi con i nomi degli agenti coinvolti, poi il fascicolo viene chiesto da un prefetto legato ai servizi, infine arriva un ordine dal Dipartimento di pubblica sicurezza cioè quello di identificare il secondo uomo visto quella notte.

Ma dopo la pubblicazione della notizia su La Stampa, arriva un dietrofront e la ricerca viene interrotta senza spiegazioni – resta sul tavolo anche un episodio precedente, avvenuto il 29 novembre – con due persone che tentano di forzare la porta dell’appartamento sopra a quello della premier, una donna li vede dallo spioncino, uno parla con un microfono attaccato alla giacca ma si dileguano anche loro, tutti elementi che non trovano ancora una spiegazione; l’indagine è tecnicamente ancora aperta ma si va verso l’archiviazione, mentre le domande sull’episodio controverso rimangono ancora tutte senza risposta.