Time – testata icona del ventesimo secolo – ha deciso di mettere radici definitive nel ventunesimo rimuovendo ogni paywall dal sito time.com: a cominciare dall’accesso all’archivio centenario, punteggiato dalle leggendarie cover sull’uomo (o donna) dell’anno. Negli stessi giorni Buzzfeed – brand pionieristico e simbolico del new journalism nativo digitale, già premiato con il Pulitzer – ha annunciato la chiusura della sua divisione news: principale vittima – dopo un decennio – di un ridimensionamento complessivo del gruppo, che tuttora offre un’ampia vetrina di contenuti web (quasi in contemporanea, anche Insider, già emerso come competitor di Buzzfeed News nel giornalismo investigativo, ha tagliato il 10% del suo staff).
È un passaggio che si colloca in un periodo di generale “bonanza” per l’editoria giornalistica globale: basti pensare ai clamorosi licenziamenti del presidente della Bbc Richard Sharp e del volto-guida di Fox News, Tucker Carlson. Quella fra Time e Buzzfeed sembra d’altronde emergere come “staffetta” significativa – e di non facile lettura – fra un old journalism a lungo dichiarato obsoleto sulla rete e una fra le principali media start-up: non priva di un netto successo iniziale, a partire comunque da un business model strettamente orientato al profitto.
Time manterrà a pagamento il magazine cartaceo e la sua versione sfogliabile online, che oggi conta su 1,3 milioni di abbonati in tutto il mondo. Dall’1 giugno, invece, i 250mila abbonati a time.com si vedranno cancellare il rinnovo della sottoscrizione: potranno anche loro consultare liberamente tutti i contenuti del sito, che la Ceo Jessica Sibley ha preannunciato in via di potenziamento. La testata ha un nuovo direttore: Sam Jacobs, 37 anni, è il più giovane editor-in-chief dalla fondazione ed è stato finora il vicedirettore responsabile dell’area digitale. Ha alle spalle un cursus principalmente online: ha esordito al DailyBeast – aggressivo sito politico -, ma ha lavorato anche a Reuters e Newsweek.
Time è da cinque anni anni proprietà personale di Marc Benioff, tycoon della Silicon Valley con Salesforce, gigante delle tecnologie per l’e-commerce. Sibley ha molto enfatizzato il valore politico-editoriale della mossa: la “democratizzazione” dell’informazione – trainata da logiche di contrasto alle fake news – è un drive di lungo periodo del settore, quindi una sorta di investimento-sfida per un gruppo come Time. Un free site più ricco è d’altronde il miglior strumento di comunicazione sul mercato per il valore dei contenuti giornalistici autorevoli, che la testata intende mantenere come tratto distintivo. Salti di quantità e qualità nell’offerta online gratuita sono ovviamente attesi a sostituire in tempi brevi i mancati ricavi da paywall con nuovo fatturato di pubblicità digitale: nonché per promuovere aree collaterali, come l’organizzazione di eventi.
Buzzfeed, invece, due anni fa era valutata 1,5 miliardi dagli analisti di Wall Street, che ne attendevano una rapida quotazione. Su quelle stime il gruppo riuscì a effettuare un’ultima consistente raccolta di tipico venture capital. Ciò ha reso possibili scoop giornalistici mondiali: come ad esempio la pubblicazione di immagini satellitari dei centri di detenzione allestiti dal governo cinese per gli uiguri musulmani. Ma il test del bilancio è stato fallito: nel 2022 Buzzfeed ha accusato 201 milioni di dollari di perdite (l’anno prima – in apparente uscita dalla pandemia – i conti erano in utile per 26 milioni). Oggi il gruppo tuttora guidato dal fondatore Jonah Peretti non è valutato più di 100 milioni in caso di possibile offerta iniziale.
Peretti (che in precedenza era stato fra i fondatori di Huffington Post) ha lamentato una fase di crisi generale del giornalismo nativo digitale legata alla proliferazione dei social media, che annacquerebbero la riconoscibilità del giornalismo professionale e quindi anche la redditività da pubblicità o sponsorizzazioni. Per questo Peretti ha indicato come format di un possibile rilancio – forse al di là del caso Buzzfeed – quello di giornali digitali come “navigatori affidabili” negli oceani immensi e tempestosi dei social media.
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