La transizione scuola-lavoro è cruciale per il futuro di molti giovani e deve essere quindi accompagnata al meglio
La stampa si occupa della scuola, durante i mesi estivi, per dirci come sono andati gli esami di maturità e per descrivere le fatiche di quanti devono svolgere le prove di appello per qualche materia. I rimandati a settembre di quando a scuola andava chi scrive.
Poi il tema dei giovani diventa ricorrente negli articoli che trattano i temi lavorativi. Fanno la parte dei più svantaggiati, assieme alla componente femminile, del nostro mercato del lavoro. Sono particolarmente colpiti dalla disoccupazione, aumentano fra gli scoraggiati che restano inattivi, non hanno le competenze richieste dal sistema di imprese e sono anche nati in prevalenza in zone dove c’è meno domanda di lavoro.
Ci si occupa meno di guardare il tema stando dall’altra parte. Per questo si difendono contratti di inserimento al lavoro che con la scusa di essere formativi non sono contratti di lavoro e non introducono ai sistemi di welfare dei lavoratori, non si guarda ai sotto salari proposti e non si analizza quanto di sotto inquadramento produce il nostro sistema produttivo.
Così per ricordare di quanto pesa il fenomeno giovanile ricordo qualche numero. I diplomati del 2025 sono stati 524,4 mila. Sono pressoché al 50% liceali e l’altra metà arrivano da percorsi tecnico professionali. Che fine fanno? Per cercare risposte guardiamo i dati dell’anno precedente. Il totale dei diplomati è di 10.000 meno rispetto a quest’anno. Di questi 308 mila sono diventati matricole universitarie. Quindi 205 mila risultano disponibili per opportunità di lavoro. Ai diplomati possiamo sommare 305 mila neolaureati del 2024 (comprendono sia lauree triennali che specialistiche che superiori).
Il dato ci dice che in questi anni abbiamo ogni anno poco più di 500 mila giovani che affrontano la transizione scuola-lavoro, la prima fase di passaggio che caratterizzerà la loro vita lavorativa. Già, perché ormai si è consolidato un sistema produttivo che sotto la pressione sempre più veloce di cambiamenti tecnologici e organizzativi è caratterizzata da più cambiamenti che coinvolgono la vita lavorativa delle persone.
Ogni lavoratore di questa fase storica sa che vivrà più transizioni lavorative e che richiederanno fasi di nuova formazione. La difesa della propria occupabilità dipende sempre più dalla capacità di adeguare la propria formazione e anche di passare a nuove competenze rispetto a quelle sviluppate con il primo ciclo formativo.
Come ci indicano tutte le analisi sulle esperienze di formazione continua non è una situazione semplice. La crescita ottenuta negli ultimi anni grazie allo sviluppo del sistema di formazione assegnato ai fondi interprofessionali, e quindi a un sistema che vede la governance di imprese e lavoratori, non è ancora sufficiente a colmare un ritardo storico del nostro sistema di orientamento e formazione. Come per tutti i servizi a supporto delle persone pesa anche la disponibilità personale. In questo caso un’educazione a cercare nell’offerta formativa e nei servizi di politica attiva del lavoro il supporto per leggere le opportunità che si possono trovare.
La formazione continua, ormai ritenuta una funzione fondamentale per sostenere le transizioni lavorative e l’occupabilità delle persone, richiede quindi un’educazione perché sia ritenuta parte del proprio modo di lavorare e di cercare di stare al meglio sul mercato del lavoro.
Quei 500 mila giovani che stanno adesso passando per la prima esperienza di rapporto con il lavoro sono nella condizione migliore per incontrare i servizi che dovranno poi supportarli nelle fasi di passaggio che affronteranno nel corso della vita lavorativa.
Oggi sarebbe quindi il momento migliore perché i servizi al lavoro prendessero in carico chi sta iniziando la vita lavorativa. La certificazione delle competenze e delle capacità personali per avviare la carta d’identità professionale che poi registri tutti i fattori di crescita formativa e professionale del lavoratore dovrebbe partire da questa prima fase. Già il solo primo incontro sarebbe fattore educativo e informativo rispetto alla rete di servizi al lavoro di cui potrà poi avvalersi all’occorrenza.
Correggendo una mancanza di intervento durante i diversi percorsi scolastici è una fase utile per un primo orientamento rispetto alle possibili professioni e opportunità sulla base di una valutazione dei desideri e delle competenze della persona. Eventuali brevi corsi di approfondimento o aggiornamento tecnico potrebbero essere suggeriti e supportati.
Sicuramente otterremmo risultati migliori per l’inserimento al lavoro dei giovani che arrivano alla conclusione dei diversi percorsi scolastici e avremmo portato i servizi al lavoro a svolgere un ruolo protettivo verso i nuovi lavoratori. Utile in questa prima fase e anche avvio di rapporti che dovranno proseguire nelle diverse fasi della esperienza lavorativa di ciascuno.
Se vogliamo realmente che il mercato del lavoro italiano diventi amico per l’inserimento dei giovani al lavoro potremmo partire da qui: avviare un sistema di servizi al lavoro che con la presa in carico di chi arriva alla prima transizione lavorativa sappia poi seguire e sostenere il percorso lavorativo lungo tutta la vita professionale.
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