Graziano Delrio e il Giubileo: la famiglia non credente, la scoperta della fede e la politica per riaffermare una Persona che dà senso alla vita
Continua la pubblicazione di contributi scritti da politici e dedicati al Giubileo 2025 (ndr).
La parola che mi porto dietro con più piacere in questo Giubileo della speranza è sicuramente la parola fede. Un po’ perché, venendo da una famiglia non credente, la fede è stata per me la scoperta, l’incontro con Gesù Cristo, la novità e lo stupore nella conoscenza della sua parola. Da quel momento adolescenziale la fede è stata la trama che ha intessuto la vita mia e della mia famiglia, delle persone che amo e che ha caratterizzato i momenti più belli e più difficili che ho alle spalle. Spero che continui ad accompagnarmi nella nuova fase della vecchiaia che sto iniziando!
Il Giubileo racchiude in sé l’invito alla speranza e questa speranza però è basata sulla certezza della fede che il Signore accompagna i nostri passi ogni giorno, li guida, li riempie di benedizioni e può riempire di consolazione anche il dolore.
A volte si pensa che per raggiungere posizioni di successo e di prestigio sia necessario adattarsi alla logica del mondo della competizione spietata verso gli altri, alle regole che dominano nella nostra società: il potere e il denaro. E spesso ci si sente smarriti, impotenti, confusi, senza una chiave di lettura di senso per le cose che ci accadono. A volte con la paura del futuro, che è molto normale. A volte con la paura di affogare in un mare troppo agitato perché ci si sente sprofondare.
Durante la mia esperienza di giovane liceale e poi universitario ho trovato nella mia poca fede grande consolazione e conforto e mi sono sentito come custodito nei passi, anche sbagliati, che facevo o che potevo fare. Insomma, il pellegrinaggio della vita fa meno paura e le decisioni da prendere sono meno drammatiche se sai che, qualunque sia la tua strada, non perderai in nessun caso la Sua presenza amorevole.
Ho sperimentato sia da medico che da padre quanto l’affidarsi alla provvidenza e alla custodia dia un grande senso di serenità al lavoro e al proprio dovere di genitore. Un senso di serenità e di pace che poi si trasmette ai tuoi figli e ai tuoi pazienti e che non significa la certezza che tutto andrà bene o che non si commetteranno errori. Nemmeno significa però l’immunità dal dolore, dall’ansia e dalle fatiche.
Non si vive tutto nella pienezza della nostra povera umanità, ma con la fiducia che con il massimo impegno, la messa in gioco dei propri talenti fino in fondo, alla fine si è fatto quanto si doveva fare. C’è una frase della Lettera agli Ebrei dove si dice “per fede Abramo partì e partì senza sapere dove andava” ed io che ho cambiato mestiere a quarant’anni, dopo quindici anni di ospedale e università mi sono messo a fare il politico (!), in un qualche modo mi sono portato dietro questa frase un po’ come un programma: avevo un po’ di fede che il mestiere della cura che aveva imparato nelle corsie dell’ospedale poteva essere usato anche nella nuova via che non sapevo dove mi avrebbe portato.
Certo la fede, esattamente come il pellegrinaggio nel Giubileo, non ti consente o non è coincidente con lo stare quieti e fermi. Rappresenta piuttosto la capacità di mettere in gioco tutto te stesso, le tue energie, vivere le situazioni in cui ti trovi con retta coscienza e pieno abbandono. Sapendo che il Signore dà e il Signore toglie: a volte ci sono giorni di benedizione e a volte ci sono giorni di pianto, ma comunque non sei solo.
Ho sperimentato nel lavoro fatto sia da medico che da politico come la solitudine sia una grande malattia contemporanea: del singolo e della società. Recenti studi dicono che l’area del cervello in cui si localizza la sensazione della solitudine sia la stessa area in cui viene elaborato il dolore. Credo che la nostra sia una società dolente in cui il senso di solitudine, il dolore di sentirsi soli nell’affrontare le difficoltà della vita stia aumentando anche a causa della difficoltà delle famiglie a viversi e ad essere comunità solidali intergenerazionali. Perché poi va ricordato che la fede non è concepibile come un’avventura isolata. Certamente c’è il coraggio e l’audacia del singolo, ma Abramo portò con sé la sua famiglia partendo da Carran e Mosè non volle mai distaccare il suo destino da quello del suo popolo durante il viaggio dall’Egitto alla terra promessa.
La fede non è scindibile dalla comunità di fede, dai fratelli che come te condividono la mensa eucaristica. Scoprire la fede è stato anche sentirsi partecipi di un’esperienza grande, di qualcosa che va oltre te: che è iniziata prima e continuerà dopo. Un senso di appartenenza, di comunità che insieme aiuta molto a comprendere l’importanza della fraternità e nello stesso tempo aiuta a sentirsi non responsabili di tutto ma parte di un grande sforzo collettivo.
Da questo punto di vista la fede anche protegge dai deliri di onnipotenza e indispensabilità che sono una tentazione molto frequente per chi è impegnato in politica o in ruoli di responsabilità. Questo senso di fraternità, sia nella chiesa dei credenti che con l’umanità tutta, rende il pellegrinaggio del Giubileo una esperienza non solo personale ma appunto comunitaria e di fraternità. Siamo molto grati a Papa Francesco per averci fatto riscoprire con forza, e per avere stimolato anche chi non crede a riscoprire la terza parola della Rivoluzione francese: la fraternità.
Non esistono culture superiori né esiste il dovere di esportare il proprio modello culturale o di organizzazione sociale: esiste invece una ricchezza di diversità che va riconosciuta, di modelli culturali, di storia e tradizioni che vanno rispettate. Ogni popolo ogni nazione ha diritto, un diritto originale naturale e prioritario all’uso comune dei beni creati.
L’interdipendenza degli esseri viventi e delle nazioni non ha bisogno di ulteriori prove dopo i tragici eventi degli ultimi anni. Non si può stare sani in un mondo malato. Dobbiamo riflettere sul fatto che non esiste vera libertà e vera uguaglianza senza uno sforzo verso il rafforzamento dei legami comunitari, verso la fraternità. Spesso si considera l’individuo come isolato, privo dei suoi legami, consumatore, lavoratore, contribuente, utente di servizi. Ma che ne è della dimensione comunitaria, cioè del nostro essere genitori, figli, amici e membri di un’associazione, membri di una comunità locale?
La nostra politica non può essere solo discussione sull’economia, deve essere capacità di dare anima e slancio alla convivenza, anche perché la globalizzazione ci rende vicini, ma non ci rende fratelli, cioè responsabili del benessere di ogni persona e popolo.
Per questo Giubileo ci auguriamo con le parole del cardinal Martini: “Uscire dalla gabbia del particolarismo e riprendere a parlare della terra degli uomini: riaffermare un senso comune dell’umanità”.
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