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Home » Esteri » Usa » GIUSTIZIA E POLITICA/ Da Imamoglu a Trump, quando le sentenze diventano strumenti di potere

  • Usa
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GIUSTIZIA E POLITICA/ Da Imamoglu a Trump, quando le sentenze diventano strumenti di potere

Patrizia Ciava
Pubblicato 25 Marzo 2025
Ordini esecutivi Trump

Presidente Usa Donald Trump ha appena firmato un ordine esecutivo (ANSA-EPA 2025)

Due casi opposti e speculari di giustizia politica: l'eliminazione dalle elezioni idi Imamoglu in Turchia e l'attacco dei giudici a Trump negli Usa

Una volta, i leader scomodi venivano eliminati fisicamente e la verità sui loro assassinii non veniva mai alla luce; le indagini si perdevano in labirinti di omissioni e silenzi, fino a quando la società si rassegnava a non dover mai conoscere la reale dinamica degli eventi. Tuttavia, i defunti venivano trasformati in martiri ed eroi e spesso il loro messaggio, anziché spegnersi insieme a loro, emergeva con maggiore forza.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


Oggi, invece, i metodi per neutralizzare un leader politico sgradito si sono fatti più sofisticati, meno cruenti, ma molto più efficaci. La strategia più diffusa è quella di sfruttare procedimenti giudiziari controversi, spesso alimentati da accuse poco chiare o pretestuose, amplificate ad arte dalla stampa complice che contribuisce a screditare l’immagine pubblica della persona colpita.


TAIWAN/ Tokyo con Taipei come l’Ue con Kiev, non è in grado di aiutarla senza Trump (che può cedere a XI)


Non sorprende, dunque, che in numerosi Paesi i magistrati siano diventati protagonisti consapevoli del conflitto politico, intervenendo pesantemente sulla scena pubblica con sentenze che condizionano direttamente gli equilibri democratici, ostacolando o addirittura tentando di rovesciare leader democraticamente eletti e ampiamente sostenuti dalla popolazione.

È emblematico il caso della Turchia, dove recentemente Ekrem Imamoglu, popolare sindaco di Istanbul e principale avversario del presidente Recep Tayyip Erdogan alle prossime elezioni, è stato arrestato con accuse che appaiono chiaramente motivate da intenti politici. Imamoglu, accusato ufficialmente di “corruzione e abuso d’ufficio”, ha negato categoricamente ogni responsabilità, denunciando il procedimento come una manovra orchestrata dal potere per estrometterlo dalla corsa presidenziale.


GOVERNO E UCRAINA/ Decreto armi e invito del Papa, quel doppio "messaggio" alla Meloni


Questo arresto ha immediatamente scatenato un’ondata di proteste senza precedenti nella popolazione turca. Decine di migliaia di cittadini sono scesi nelle piazze di Istanbul, Ankara, Smirne e altre città, denunciando una deriva autoritaria e chiedendo l’immediata scarcerazione del sindaco. La mobilitazione popolare, accompagnata da slogan contro il governo di Erdogan e per la difesa delle libertà democratiche, ha riportato il Paese sotto i riflettori internazionali, evidenziando come la manipolazione giudiziaria e mediatica possa ritorcersi contro i suoi stessi ideatori, trasformando l’oppositore in un simbolo di resistenza e unità per un’intera nazione.

Ma non tutti i popoli sono pronti a difendere strenuamente i loro leader come sta facendo il popolo turco. In Occidente, in particolare, i cittadini tendono a essere più remissivi e preferiscono attendere di esprimere la loro opinione nell’anonimato delle urne. Anche perché i media occidentali spesso colpevolizzano e denigrano chi sostiene leader sgraditi, creando un clima che rende difficile esprimere apertamente posizioni non allineate.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ad esempio, molti in Europa sono rimasti sorpresi del fatto che i cittadini americani abbiano votato in massa Donald Trump, un candidato accusato di ben 34 capi di imputazione e che ha patteggiato, ammettendo agli occhi del mondo la propria colpevolezza. Tuttavia, coloro che sono informati sanno bene che tutti e 34 i capi d’accusa riguardavano in realtà lo stesso presunto reato, ovvero la falsificazione di documenti aziendali relativi a pagamenti effettuati per coprire uno scandalo personale. Questo caso dimostra ulteriormente come la giustizia possa essere utilizzata come strumento politico, distorcendo la realtà e influenzando profondamente l’opinione pubblica.

Ora che Trump è diventato presidente, la magistratura non si arrende e cerca in ogni modo di boicottare i suoi provvedimenti. Tanto che recentemente Trump ha espresso il proprio disappunto con parole dure: “Le ingiunzioni illegali a livello nazionale da parte dei giudici della sinistra radicale potrebbero benissimo portare alla distruzione del nostro Paese!”, ha scritto. “Queste persone sono dei pazzi, che non si preoccupano nemmeno un po’ delle ripercussioni delle loro pericolosissime e sbagliate decisioni e sentenze”.

Le ingiunzioni a cui Trump fa riferimento riguardano soprattutto provvedimenti presidenziali su temi sensibili come immigrazione, sicurezza nazionale e politica estera, bloccati ripetutamente da corti federali e tribunali distrettuali guidati da giudici considerati vicini all’opposizione democratica. Queste azioni giudiziarie hanno generato forti tensioni istituzionali e hanno effettivamente complicato la realizzazione dell’agenda politica di Trump, alimentando ulteriormente le divisioni interne del Paese.

Recentemente, l’amministrazione Trump ha affrontato tensioni con la magistratura riguardo al rimpatrio di presunti membri della gang sudamericana “Tren de Aragua”. Il presidente ha invocato l’Alien Enemies Act del 1798 per deportare rapidamente individui sospettati di appartenere a questa organizzazione criminale venezuelana, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale.

Tuttavia, il giudice distrettuale James Boasberg ha emesso un’ingiunzione per bloccare tali deportazioni, ritenendo problematico l’uso di una legge storicamente applicata solo in tempi di guerra dichiarata. Nonostante l’ordine del giudice, l’amministrazione Trump ha proceduto con la deportazione di oltre 250 presunti membri della gang verso il Venezuela, suscitando critiche e accuse di violazione dell’ordine giudiziario. Le azioni dell’amministrazione hanno sollevato dibattiti sulla separazione dei poteri e sull’uso appropriato di leggi storiche in contesti moderni. ​ Questa situazione ha esacerbato le tensioni tra il potere esecutivo e quello giudiziario, evidenziando le complesse dinamiche tra le diverse branche del governo e sollevando interrogativi sull’equilibrio tra sicurezza nazionale e rispetto delle procedure legali.

Queste azioni giudiziarie tendono a screditare fortemente il leader agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, dipingendolo come un politico spietato che si scaglia contro poveri immigrati accusati senza prove certe, nonostante questi fossero stati giudicati colpevoli da un tribunale e fossero entrati illegalmente nel Paese, violando, volenti o nolenti, le leggi federali.

Inoltre, il governo venezuelano ha contestato le accuse, affermando che nessuno dei deportati appartiene al “Tren de Aragua”, mettendo in discussione la legittimità delle deportazioni e aumentando le critiche internazionali verso l’approccio dell’amministrazione Trump. ​

Questi eventi ci ricordano come l’equilibrio democratico sia fragile e costantemente minacciato. Difendere le istituzioni democratiche, garantendo l’indipendenza della magistratura e una stampa libera e imparziale, rimane una sfida fondamentale per ogni società che aspira a definirsi davvero democratica.

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Tags: Donald TrumpErdogan

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