Separazione delle carriere: i pareri di Falcone e Borsellino andrebbero contestualizzati. Ma non è vero che il Governo darà ordini alle procure
Chi oggi parla di riforma della giustizia, cercando di tirare per la giacchetta Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altre autorevoli personalità risalenti nel tempo, come presunti testimonial dell’una piuttosto che dell’altra fazione, lo fa o perché è in mala fede o per ignoranza crassa.
Al netto, infatti, delle legittime posizioni, espresse in contesti più o meno istituzionali, non dovrebbe sfuggire, soprattutto agli addetti ai lavori, che parliamo di un’era geologica fa, da un punto di vista giuridico e normativo.
Come dovrebbe essere noto, è solo a fine ottobre 1989 che entra in vigore il nuovo codice di procedura penale, che rappresenta una vera e propria rivoluzione rispetto al passato. Si passa da un processo inquisitorio, in cui il pubblico ministero poteva sostanzialmente fare tutto, compresi gli arresti, ad uno di tipo misto, orientato al modello accusatorio, basato sul principio per cui accusa e difesa sono parti ed il giudice deve essere ed apparire terzo ed imparziale.
Il processo penale accusatorio, infatti, valorizza la partecipazione delle parti, il contraddittorio e l’imparzialità del giudice. Il modello italiano si ispira all’accusatorio, soprattutto nel dibattimento, ma resta misto, con caratteristiche inquisitorie nella fase delle indagini preliminari. Anche esteriormente cambiano le aule di giustizia, con il pubblico ministero, che prima stava sul banco a fianco al giudice, ed ora si accomoda sulla scrivania di fronte a lui, vicino alle altre parti processuali.
È solo l’inizio di un lungo e tortuoso percorso verso la parità processuale, con incursioni, non originariamente previste e prevedibili, da parte della Corte Costituzionale, che in alcune occasioni prova a rimettere in gioco il nuovo sistema, valorizzando ancora le acquisizioni dell’accusa nelle indagini, facendole assurgere al livello di prove, che, invece, nel nuovo sistema si dovrebbero formare solo nel dibattimento e nel contraddittorio tra le parti.
Falcone e Borsellino si erano formati o stavano ancora formando le loro rispettive opinioni mentre il nuovo processo muoveva i primi passi, con tutte le incertezze del caso. Ed alcune dichiarazioni di Falcone danno proprio conto di queste embrionali valutazioni, nel senso di una chiara diversificazione delle funzioni e, quindi, dei ruoli tra pubblici ministeri e giudici.
Perciò, immaginare e riportare come oro colato le rispettive dichiarazioni non serve a fare chiarezza, ma, piuttosto, solo a creare suggestioni poco fedeli alla realtà di allora e al loro reale pensiero.
Il processo verso il modello accusatorio ha avuto successivamente altre tappe importanti che, purtroppo, i nostri giudici siciliani non hanno potuto vedere, né commentare. Tali tappe inevitabilmente avrebbero potuto incidere sulle loro opinioni e ovviamente nessuno può azzardare, in tal senso, conclusioni neanche lontanamente attendibili.
Purtroppo, però, questo atteggiamento fa parte di una costante (voluta?) disinformazione che accompagna ancora oggi quel periodo e i loro protagonisti. Solo qualche mese fa, approfondendo le avversità affrontate da Falcone, la costante azione di delegittimazione di cui fu vittima, mi sono imbattuto in un documento, pressoché oscurato dai mass media.
Si tratta dell’atto con cui l’Associazione nazionale magistrati (ANM) dell’epoca proclamò lo sciopero contro la riforma che istituiva la Procura nazionale antimafia, scritta e voluta proprio da Giovanni Falcone ed ancora oggi universalmente considerata lo strumento più importante per la lotta alle organizzazioni criminali.

Anche lì si trattò di una riforma epocale in cui si riscrivevano le regole delle indagini sulle mafie, e le si ispirava alle esperienze ed ai risultati raggiunti dall’ufficio istruzione di Palermo, nel frattempo passato sotto la direzione di Antonino Mele, preferito dal CSM proprio al più giovane Falcone.
Ma questa è un’altra storia, forse. Anche se ci fa comprendere come non sempre, anzi quasi mai, prima della sua tragica morte, il pensiero di Falcone fu condiviso ed appoggiato dai colleghi magistrati. Gli stessi che oggi, anche impropriamente e addirittura, talvolta, falsificando le sue dichiarazioni, vorrebbero assurgesse a testimonial solidissimo delle loro posizioni.
Allora, lasciando stare i nostri eroi antimafia, morti anche perché abbandonati e bistrattati da vivi, proviamo a essere corretti e a fornire una informazione vera e attendibile.
Una attenta valutazione nel merito non può, infatti, prescindere dalla riforma, approvata quasi all’unanimità, con un ampio consenso politico trasversale, che nel 1999 ha riscritto completamente l’articolo 111 Cost., introducendo i principi del giusto processo, ispirati all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
In particolare, il principio costituzionale, ormai consolidato e di cui questa ultima riforma rappresenta una concreta attuazione, prevede, tra l’altro, che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”. Ogni moderna democrazia fonda sul principio della terzietà del giudice la base delle libertà e la garanzia dei diritti dei cittadini.
È fuori discussione che tale baluardo, laddove messo in discussione, andrebbe difeso in maniera convinta da chi ha a cuore la democrazia. E su questo siamo tutti d’accordo e non ci sarebbe neanche bisogno di scomodare i mostri sacri della magistratura.
Leggendo il testo della nuova norma (solo questo può offrire un dato solido e rassicurante) gli elettori potranno farsi la loro idea e compiere consapevolmente il proprio dovere al prossimo referendum.
Provando ad essere imparziali (anche se mi rendo conto che non è così scontato) ed al netto di retropensieri ideologizzati, il dato normativo esitato dal Parlamento sembra, sotto questo profilo, essere rassicurante, poiché prevede un organo di autogoverno della magistratura requirente autonomo e indipendente, i cui componenti sono estratti a sorte e che è presieduto dal Presidente della Repubblica, massima espressione di garanzia.
Altre considerazioni basate su ipotesi o congetture, con incursioni di complottismo ed autoritarismo, sembrano, allo stato, frutto di approcci aprioristici ed emotivi.
Allora, almeno noi giuristi, lasciamo stare Falcone e Borsellino e proviamo a fare quello per cui ci battiamo tutti i giorni e che dovremmo essere capaci di fare, cioè leggere le norme e trarre da queste le giuste e naturali conclusioni.
In tal senso, dire oggi che questo sarebbe un primo passo per mettere il pubblico ministero sotto l’esecutivo è una chiara mistificazione e frutto di pura suggestione.
Forse, e non ne sono neanche convinto, un siffatto atteggiamento può essere giustificato per propaganda politica e presa di posizione ideologica, ma non dovrebbe appartenere a chi fa della giustizia e prima ancora delle leggi il proprio credo quotidiano.
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