Venti pannelli e un video: ecco la nuova mostra (quarta in ordine di uscita da quella, invero mitica, intitolata “Non muoio neanche se mi ammazzano” del 2008, ad un secolo dalla nascita) che il prossimo Meeting di Rimini dedica al Giovannino nazionale. E, insieme alla mostra, venerdì 20 agosto l’incontro (già sold out) “Guareschi. Un mestiere anche per me” in collaborazione con il Gruppo Amici di Giovannino Guareschi col presidente Egidio Bandini, i registe ed attori Enrico Beruschi e Gianni Govi, il clarinettista Eugenio Martani, il fisarmonicista Corrado Medioli, don Giancarlo Plessi, parroco di Besenzone, Bersano, Mercore nel Piacentino e presidente del Centro di spiritualità Mons. Manfredini di Piacenza.
Tutto questo perché, spiegano gli organizzatori, “centovent’anni fa nasceva Gino Cervi e cinquant’anni fa moriva Fernandel”: da sette decenni giusti (il primo film è del 1951) sono le due facce di Peppone e don Camillo “per sempre”. Un crocevia di anniversari cui se ne aggiunge un altro, nato “Un po’ per gioco un po’ per dimagrire”, titolo scelto dall’edizione pomeridiana del Corriere della Sera per il “giretto in bicicletta” che fra luglio ed agosto 1941 ebbe come protagonista proprio il futuro inventore della coppia sindaco-prete più famosa nella storia della letteratura mondiale.
Fanno, dunque, ottant’anni esatti da quella serie di sei reportage ciclistici che aiutarono gli italiani a scoprire l’Italia fra Lombardia ed Emilia-Romagna mentre infuriava la guerra e l’impalcatura fascista viveva i suoi ultimi, fragili trionfi. Partendo da una constatazione tutta guareschiana valida ancora oggi: “La massima parte della gente di città ragiona in modo singolare – scriveva Guareschi nella puntata iniziale dell’11-12 luglio –. Trascorre undici mesi dell’anno seduta, imprecando contro la vita sedentaria, causa di tanti malanni, poi, arrivato finalmente il periodo delle ferie, va a sdraiarsi per trenta giorni sotto un ombrellone di spiaggia o sotto un abete di montagna”.
Crisi economica e mutamenti d’abitudini hanno ridotto di molto quel mesetto inerte ed annoiato, ma il concetto rimane. Guareschi, bastian contrario di natura, si butta allora in un suo “progettato viaggetto” che, partendo da Milano, tocca fra l’altro Parma, Bologna, San Marino; poi torna in su direzione Ravenna e i laghi prealpini piccoli e grandi sino a Sesto Calende e ritorno. Milleduecento chilometri sotto il solleone che “lo riporta agli anni giovanili di Parma, sulle orme di Alfredo Panzini e di Alfredo Oriani”, come scrive Guido Conti nella biografia che dedicò a Guareschi nel 2008: “Si tratta di un infelice cittadino costretto a trasportare un sacco di grasso di novanta chilogrammi, una bicicletta, un fagottello di indumenti urgenti e una carta annonaria”.
Tra avventure romantiche e rurali disavventure, un po’ di mare e addirittura un’autostrada percorsa in bicicletta in quanto le autorità lo consentirono in ragione dello scarsissimo traffico motorizzato (“L’autostrada percorsa in bicicletta è qualcosa di terribile. Sembra di camminare lungo il corridoio di un castello abbandonato, lungo la strada di una città morta e le poche automobili che passano sembrano fantasmi”), l’articolo comparso nell’edizione del 12-13 agosto contiene anche un curioso decalogo del cicloturista che al primo punto fa anche della sottile filosofia: “Non viaggiare mai solo: viaggiando solo non sai mai se cammini troppo forte o troppo piano. L’ideale è, per il giovane, viaggiare con un anziano, e viceversa: il giovane sprona l’anziano, l’anziano modera il giovane”. Il finale è un capolavoro di umorismo guareschiano: “Non ho più niente da aggiungere: l’assennata amministratrice dei nostri beni e dei miei mali mi ha comunicato che, l’anno venturo, inforcherà anche lei una bicicletta e mi seguirà nel mio prossimo giro turistico: le assennate massaie soffrono quando il compagno della loro vita naviga solo, su strade sconosciute e pericolose. Hanno una terribile paura che si diverta”.
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