La guerra tra Hamas e Israele sta avendo risvolti anche nel Nordafrica, un’area strategica per l’Italia. Paesi come l’Algeria, la Tunisia e la Libia, dopo l’attentato compiuto da Hamas nei confronti di civili israeliani, hanno mostrato palesemente il loro supporto all’organizzazione terroristica. Questo potrebbe comportare problemi per il nostro Paese sia in termini migratori, sia in ambito energetico e, in più ampia prospettiva, anche per l’applicazione del “Piano Mattei”.
Cosa sta accadendo in questi Stati e quali conseguenze per il progetto italiano?
Innanzitutto, è necessario chiarire le recenti evoluzioni nella regione, a partire dall’Algeria, uno dei primi Paesi a essersi schierato con Hamas. L’Algeria, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, è diventato il nostro principale fornitore di gas con circa il 36% nel 2020. Un problema per la stabilità energetica dell’Italia?
Nel breve periodo presumibilmente non cambierà molto: il Paese non potrà smettere di vendere il suo gas all’Italia, né ridurre le forniture perché le due sponde del Mediterraneo sono legate da un gasdotto (il Transmed) di fatto insostituibile e vitale per ambo le parti. Difficile dire cosa potrebbe accadere se il conflitto dovesse prolungarsi ancora o addirittura subire un’escalation. Come se non bastasse, da alcune indiscrezioni risulterebbe che il Qatar, che per anni ha ospitato e finanziato i vertici di Hamas, avrebbe chiesto ai leader dell’organizzazione di andarsene dal Paese e la destinazione potrebbe essere l’Algeria dove c’è già un “pezzo” del gruppo. Avere a poche miglia marittime dalle nostre coste una costola di Hamas non sarebbe certo una prospettiva rassicurante, anche alla luce degli sbarchi che dalle coste algerine si dirigono prevalentemente verso la Sardegna.
Non va meglio in Tunisia, Paese con cui l’Italia si è spesa per la realizzazione di un Memorandum di intesa che comprende non solo accordi per il contenimento dei flussi migratori ma anche partenariati in tema economico, culturale, energetico etc. Nonostante l’ostracismo di una parte dell’Europa, che ha boicottato il Memorandum che pure aveva avallato, l’Italia continua a mantenere un buon rapporto con Tunisi. Al momento, però, le piazze sono infiammate da proteste a favore di Hamas. I manifestanti hanno anche denunciato la partecipazione dei Paesi occidentali all’aggressione israeliana: una fetta di elettorato di cui il presidente Saied non può non tener conto, anche per la tenuta del suo Governo. Anche per questo le autorità tunisine hanno proposto di approvare una legge che renderebbe illegale qualsiasi rapporto con Israele da parte di suoi cittadini o società. Se da un lato non siamo estranei a prese di posizione piuttosto “teatrali” da parte del leader tunisino utili a placare una parte della popolazione che grida nelle piazze contro il “morbo sionista” e ad alzare la posta nei confronti dei possibili partner occidentali, è naturale che tale postura non può che far correre un brivido sulla schiena all’Italia.
Infine, la Libia, uno dei primi Paesi di partenza dei migranti verso l’Italia ma anche un partner importante in termini energetici. Basti ricordare che lo scorso gennaio Eni ha firmato un accordo di circa 8 miliardi con la compagnia statale libica Noc per la produzione di gas. Nell’ex Jamahiriya la questione del sostegno alla causa palestinese infiamma le piazze. Tuttavia, si tratta di una dinamica che sembra essere più funzionale alle diatribe interne al Paese. Semplificando, potremmo dire che entrambe le due anime istituzionali libiche – la Camera dei rappresentanti di Tobruk e l’Alto Consiglio di Stato di Tripoli – hanno dichiarato di voler interrompere i rapporti con alcuni Stati colpevoli di essere troppo vicini a Israele, Italia compresa, fermando l’esportazione di gas e petrolio, boicottando i loro prodotti e sospendendo i rapporti con i loro ambasciatori fino a quando non verrà fermata l’aggressione contro Gaza.
A ben guardare, però, si potrebbe trattare di una mossa finalizzata a infiammare le piazze e mettere in difficoltà l’attuale leadership del premier Dbeibah. Detta in altri termini, minacce che potrebbero restare senza seguito ma che, anche in questo caso, preoccupano il Governo Meloni.
Dal quadro fin qui delineato emergono due elementi fondamentali.
In primo luogo, la posizione pro-Hamas abbracciata dai nostri principali interlocutori del Nordafrica potrebbe mettere a rischio gli sforzi italiani, sia in termini migratori, soprattutto per le numerose partenze da Libia e Tunisia che rappresentano la maggior parte dei circa 150mila arrivi sulle nostre coste, sia in termini energetici. Molti Paesi “sostenitori di Hamas” sono parte del “Piano Mattei” e importanti fornitori di idrocarburi per l’Italia.
Il Governo italiano, però, ha saputo fin qui muoversi con estrema cautela proponendo ai Paesi del Nordafrica accordi e partnership bilaterali, nonostante il conflitto in corso, distanziandosi dal “tira e molla” dell’Europa. La sua credibilità nell’area, seppure in un momento così complesso, è ancora forte e il premier Giorgia Meloni è ancora un interlocutore ascoltato, soprattutto in Tunisia e Libia. Continuare a puntare su partnership strutturate, sostegno economico e un approccio a 360 gradi, come proposto nel piano Mattei, proseguendo nel dialogo con questi Paesi è, al momento, l’unica soluzione per tenere un canale aperto con questi Stati che potrebbe bypassare le posizioni divergenti sul conflitto in corso.
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