La storia di Alce Nero dovrebbe ispirate tutti, da Trump a chi combatte sul fronte ucraino. Il Paradiso, se perdoniamo come Cristo, è senza limiti

Dall’America non vengono solo i Trump e i Biden. Viene anche il servo di Dio Nicholas Black Elk (1863-1950), di cui è in corso il processo di beatificazione.

Un processo non facile, perché la storia di Nicola Alce Nero è un po’ complicata. Nato in una famiglia di uomini di medicina, da noi impropriamente chiamati stregoni –   conoscevano bene le erbe della prateria e sapevano come usarle per curare chi ne aveva bisogno –, a 13 anni partecipò con la sua tribù degli Oglala Lakota alla battaglia di Little Bighorn, durante la quale avvenne il massacro del Settimo Cavalleria e del suo comandante George Armstrong Custer.



Lì uccise uno di quei cavalleggeri tra i quali si erano arruolati anche diversi italiani (tra loro si salvarono, tra gli altri, l’ex mazziniano Carlo Di Rudio e il trombettiere John Martin, ovvero Giovanni Martini).

Catturato in seguito, Alce Nero finì, come molti, in una riserva, dove, dopo che la moglie e i suoi tre figli si erano già convertiti, a 40 anni decise di chiedere il battesimo. Non solo. Essendo la sua una scelta di coscienza, divenne catechista, e forte della sua riconosciuta autorità di uomo di medicina, si premurò di difendere i diritti del suo popolo senza che si dissotterrasse ancora una volta lascia di guerra. Morì nel 1950, all’età di 87 anni, in odore di santità.



Perché rievocare questa figura semisconosciuta di un nativo, forse politicamente non corretta? Perché abbiamo bisogno di santi, santi di tutti i tipi, e in omaggio al Papa americano Leone XIV un uomo come Alce Nero, ci aiuta a capire che in Paradiso c’è posto per tutti, anche per gli scotennatori. E che in terra non ci sarà mai pace senza riconciliazione. Anche tra russi e ucraini.

Papa Leone XIV al Giubileo dei Giovani a Tor Vergata (ANSA 2025, Angelo Carconi)

È vero, lo scotennatore si è pentito. Ma pentirsi non significa necessariamente farlo secondo i nostri criteri. C’è una grazia, quella del perdono gratuito, che sia pure sempre più raramente ci è testimoniata da chi non ha voluto accanirsi contro chi aveva fatto del male a lui o alla sua famiglia.



Di recente una ragazza kazakistana proveniente dalla Russia mi diceva che anche là ci sono cimiteri strapieni di tombe di giovani sacrificati alla follia di una guerra della quale sono gli ultimi responsabili. Manteniamo giustamente il nostro giudizio su chi ha iniziato la guerra e causato questa carneficina, ma evitiamo che d’ora in poi chiunque sia russo venga guardato come tutti i tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale.

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