Il Parlamento europeo ha chiesto “un embargo totale e immediato sulle importazioni dalla Russia di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas”. La risoluzione ha ottenuto, il 7 aprile 2022, 513 voti favorevoli, 22 contrari e 19 astensioni. Gli eurodeputati italiani che hanno partecipato al voto si sono espressi tutti a favore, tranne la ex leghista Francesca Donato. Tali misure – si afferma – dovrebbero essere accompagnate da un’azione volta a continuare ad assicurare l’approvvigionamento energetico dell’Ue nel breve termine e da dettagliate tappe da seguire per eventualmente revocare le sanzioni “nel caso – si spiega – in cui la Russia adotti provvedimenti intesi a ripristinare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ritiri completamente le proprie truppe dal territorio ucraino”.
L’esclusione della Russia dal G20, dall’Unhcr, dall’Interpol, dall’Omc, dall’Unesco sarebbe un “importante segnale che gli Stati europei non continuerebbero a lavorare con la Russia nei modi consueti, così da rendere le sanzioni più efficaci”. Il Parlamento europeo ha conseguentemente richiesto che le banche russe siano escluse da Swift – così come proposto in prima istanza dal primo ministro italiano Mario Draghi – e di vietare l’ingresso nelle acque territoriali dell’Ue e l’attracco nei porti dell’Ue di qualsiasi nave battente bandiera russa, registrata, posseduta, noleggiata, gestita dalla Russia e il trasporto di merci su strada da e per Russia e Bielorussia.
La dichiarazione del Parlamento europeo ha il suo coronamento nella richiesta che i criminali di guerra russi e mercenari debbano essere giudicati da un Tribunale di guerra testé istituito che subito li giudichi, mentre debbono intensificarsi gli invii di armi alle truppe ucraine. Una procedura da guerra civile con le conseguenze devastanti che ne possono derivare e che abbiamo già visto con orrore dispiegarsi nel mondo, dal Sudamerica all’Africa e ancor prima dall’Asia, a partire dalla guerra del Vietnam, sia da quella contro la Francia, sia da quella contro gli Usa nel periodo della decolonizzazione e della Guerra fredda.
Questo precipitarsi nell’abisso è sconvolgente e non certo foriero di capacità diplomatiche in grado di alimentare un processo di cessate il fuoco e di intensificazione delle trattative per porre fine alla guerra e alle atrocità seguite all’aggressione russa all’Ucraina e alle battaglie sul campo che ne sono seguite da parte degli aggrediti.
Ciò che colpisce di questa dichiarazione, così come di quella nuovamente “da Boulanger” di Draghi (il quale pensa che si possa e si debba scegliere tra riscaldarsi con il gas russo oppure far cessare le ostilità punendo la Russia mediante l’interruzione delle relazioni energetiche tra i contendenti in campo e tutta l’Ue), è il fatto che con essa il Parlamento europeo perde ogni ruolo tipico ed essenziale delle istituzioni delle poliarchie democratiche. Ovvero essere l’assemblea che – diversamente da ciò che accade nei referendum – decide con temprato equilibrio e – ancora diversamente dai processi situazionali di fatto lobbistici – si sottrae alle pressioni degli interessi materiali delle parti in causa (il gas liquefatto Usa, ecc.). Pressioni, quest’ultime, tipiche di ogni movimento storico della vita associata, nel tardo capitalismo di oggi, così come in tuti i regimi che la storia degli uomini associati ha vissuto.
Studiando tutta la vita questi processi per comprenderli, il maestro Leopold von Ranke aveva messo in evidenza come fosse sempre il carattere delle relazioni esterne tra gli Stati a determinare gli aspetti fondamentali della loro costituzione interna. Ne conseguiva un minore o maggiore accentramento del potere, una più o meno accentuata militarizzazione della società, un carattere autocratico oppure liberale delle istituzioni politiche e del diritto. Anche le condizioni della “lotta di classe” erano – per Ranke, per la sua scuola e per noi – determinate dalla situazione delle relazioni internazionali.
Questo principio, è noto, o dovrebbe esserlo, si richiamava alla teoria della ragion di Stato, ossia al primato che ogni Stato deve riconoscere, pena la scomparsa, al valore della sicurezza. Il principio aristotelico secondo cui il Governo (e quindi anche la sua politica estera) non sia altro che lo specchio di una società, dovrebbe esser così rovesciato, per ben comprendere la storia che si svolge sotto i nostri occhi. Principio, questo, che io invoco come essenziale, che è necessario per comprendere, in ultima istanza, gli atteggiamenti aggressivi o pacifici degli Stati nelle relazioni internazionali: un orientamento interpretativo che diviene una guida ideale e che è stato sostanzialmente accettato dalle ideologie liberale, democratica e socialista.
Sino al crollo dell’Urss e al rovesciamento e all’impoverimento delle relazioni internazionali provocato dall’unipolarismo nordamericano, questo principio sovrintendeva anche la politica estera degli Usa. I prodromi del suo rovesciamento, tuttavia, si erano di già affermati nel mondo con le guerre novecentesche di aggressione degli Usa, con una variegata forma di disprezzo rispetto alla legittimità onuniense – in Iraq (a seguito dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein) e poi in Siria, in Libia, e prima ancora in Georgia e in Ucraina – forti degli insegnamenti operativi delle precedenti operazioni di controinsurrezione in Africa e prima ancora in Sudamerica con il Washington Consensus e poi in Afghanistan e in Pakistan con la creazione delle milizie jihadiste finanziate dalle coltivazioni d’oppio incoraggiate dagli Usa.
Speravamo che una simile terribile esperienza fosse risparmiata dagli Usa alla civilissima Europa. I recenti avvenimenti ci confermano che la schiera dei generali Boulanger fanno sì, con il loro attivismo da dipendenti alias servomeccanismi eterodiretti, che ciò non sia possibile.
Del resto, ci ricordava Marx ne Il 18 Brumaio, i generali Boulanger finiscono sempre come eterni luogotenenti.
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