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Home » Esteri » Medio Oriente » GUERRA ISRAELE-IRAN/ Escalation, terrorismo, migranti: i rischi che incombono su Europa e Medio Oriente

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GUERRA ISRAELE-IRAN/ Escalation, terrorismo, migranti: i rischi che incombono su Europa e Medio Oriente

Int. Valeria Giannotta
Pubblicato 21 Giugno 2025
La popolazione iraniana festeggia gli attacchi a Israele (Ansa)

La popolazione iraniana festeggia gli attacchi a Israele (Ansa)

Netanyahu attaccherà l’Iran anche senza Trump, che rimane l’unico a poterlo fermare. Intanto l’Europa rischia una nuova fase di terrore e altri migranti.

Netanyahu andrà avanti per la sua strada, solo Trump può fargli cambiare idea. E non basta ritardare di due settimane la decisione sul coinvolgimento diretto USA nella guerra con l’Iran. La nuova crisi mediorientale, nata con l’attacco da parte di Israele, in realtà, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, risponde non solo alla necessità di intervenire sui siti nucleari iraniani, ma anche a quella di far dimenticare le devastazioni di Gaza, che continuano a ritmo più serrato di prima.


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Israele, infatti, ora ha recuperato l’appoggio di buona parte dell’Occidente, quella stessa che l’aveva preso di mira per le morti dei civili nella Striscia. Il pericolo principale di questa situazione è l’escalation della guerra nella zona, ma ci sono dei riflessi che potrebbero interessare direttamente anche l’Europa: il terrorismo e il flusso di migranti in fuga dall’Iran, molti dei quali hanno già cominciato a lasciare il Paese.


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Il ministro degli Esteri iraniano intanto si è detto disponibile a trattare, ma solo una volta fermata l’aggressione israeliana.

Quali conseguenze può avere l’attacco di Israele all’Iran nello scenario mediorientale? Netanyahu sta raggiungendo i suoi obiettivi?

Sul tavolo ci sono due questioni chiave: il diritto di Israele a esistere e difendersi e la legittimità del programma nucleare dell’Iran. Israele, nonostante le risoluzioni internazionali e il mandato di arresto per Netanyahu, ha un approccio estremamente muscolare per “tutelare il proprio diritto di esistere”, anche se poi questo diritto non è una prerogativa israeliana, ma spetta a tutti. Uno dei suoi obiettivi è distogliere l’attenzione da quello che succede a Gaza. Nell’ultimo mese anche i media europei e occidentali avevano riacceso i riflettori sui massacri dei civili. Con l’attacco all’Iran Netanyahu vuole riprendersi una certa legittimità agli occhi della comunità internazionale, e ci sta riuscendo. Se guardiamo alla UE c’è una sorta di appiattimento sulle ragioni di Israele e la condanna verso l’Iran, anche se è Teheran a essere presa di mira.


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In questi giorni, tra l’altro, è aumentato il numero di morti a Gaza: solo ieri mattina 48, il giorno prima oltre 100 persone. Israele ne approfitta per fare ancora di più quello che vuole?

È così, anche se contemporaneamente si lamenta quando un razzo iraniano colpisce l’ospedale. Siamo in una situazione di schizofrenia generale, in cui l’opinione internazionale è estremamente polarizzata e l’Europa cerca di riprendersi un ruolo diplomatico ormai perso incontrando il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Una situazione segnata dall’imprevedibilità di Trump in cui viene continuamente svilito il diritto internazionale: qualsiasi potenza si trova nella condizione di agire senza andare incontro a delle punizioni.

I Paesi del Medio Oriente come reagiscono a questa nuova ondata bellica?

La Turchia continua a ripetere che il vero elemento di instabilità regionale non è l’Iran, ma Israele, perché si arroga diritti che non ha. Quanto ai Paesi confinanti di Israele, nonostante le condanne unanimi contro l’attacco all’Iran, in Giordania lo spazio aereo è aperto ai razzi iraniani e a Israele, in Libano ci sono equilibri ancora troppo precari, mentre l’Egitto ha bloccato una colonna di aiuti da portare nella Striscia. C’è la consapevolezza di una situazione drammatica e pericolosa, nella quale tuttavia ognuno tende a proteggere l’interesse nazionale, i propri legami, il proprio tornaconto.

C’è il pericolo che la guerra si allarghi anche ad altre aree?

C’è da aspettarsi un’escalation. L’Iran, a partire dagli attacchi subiti nel 2024, non ha mai calcato la mano nelle risposte. Ma se un Paese viene colpito negli obiettivi strategici, nelle alte figure istituzionali, nella sua sovranità nazionale, è naturalmente portato a reagire. Questo contesto, tuttavia, potrebbe generare problemi molto seri anche in Europa.

Ad esempio?

Penso ad atti di violenza e di terrorismo come quelli sperimentati nel 2016. L’approccio di molti Stati europei è in linea con l’agenda di Israele, tant’è vero che Italia, Francia e Germania hanno già rafforzato la sicurezza davanti a obiettivi sensibili come sinagoghe e quartieri ebraici. Alcune cancellerie (Macron e Merz) si sono dette disponibili, in caso di bisogno, a dare sostegno militare difensivo.

L’Europa, insomma, corre il rischio di subire le conseguenze di questa guerra?

Questa crisi sta causando anche nuovi flussi migratori. Al confine tra Iran e Turchia ci sono carovane di persone che si stanno ammassando: potremmo essere di fronte a una nuova crisi umanitaria. Chi perora la linea di un cambio di regime non dovrebbe dimenticare che si tratta di un processo che potrebbe essere doloroso. Anche se il regime degli ayatollah collassasse, assisteremmo a fughe di civili e nuove ondate migratorie. La UE, così sensibile a questioni del genere, dovrebbe tenerne conto.

Che riflessioni dovrebbe suggerire questo contesto?

Credo che bisognerebbe tornare a un approccio razionale, a una diplomazia che faccia riferimento agli elementi normativi del diritto internazionale. Invece tra gli esperti di relazioni internazionali, nella comunità accademica, c’è una grande frustrazione, la sensazione di vivere in un contesto in cui tutto quello per cui si lavora e studia sia ormai fondato sul nulla, in cui il diritto internazionale, a partire dall’interpretazione che ne dà l’America, non esista veramente più.

Al Arabiya riporta di colloqui tra l’inviato di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. C’è la possibilità di riavviare i negoziati, di riaprire la strada della diplomazia?

Dipende a quale tavolo negoziale si vuole tornare: riprendere i contatti diplomatici per far sì che si creino le condizioni per stabilizzare la situazione è possibile. Secondo me, da parte iraniana c’è questa volontà, tant’è vero che Araghchi è andato a Ginevra, al summit dei “volenterosi”. Però è difficile riportare l’Iran al tavolo del nucleare in questo momento, soprattutto dopo che Israele, con un negoziato in corso, ha iniziato ad attaccare. Credo che occorra un accordo a livello diplomatico per avere i margini necessari a riavviare il negoziato sul nucleare. Un’opzione per realizzare la quale anche Trump dovrebbe mandare segnali positivi.

Che scenario possiamo disegnare allora alla luce di queste considerazioni?

Penso che in qualche modo si allenterà la tensione, perché un’escalation potrebbe portare a effetti devastanti, a livello regionale e globale. Dietro l’imprevedibilità di Trump immagino ci siano anche elementi di razionalità: è un businessman, sa che ha bisogno di stabilità per curare i propri interessi. È vero che questa America ha sempre visto l’Iran come uno Stato canaglia e lo vuole isolare, ma non intende farlo sparire e teme un’escalation di violenza in un’area che è anche a cavallo del Caucaso, in uno scacchiere sensibile. In qualche modo si cercherà di calmare la situazione, ma vedo sforzi in questo senso più da parte iraniana.

Netanyahu intanto ha detto che fermerà il nucleare iraniano con o senza Trump: ormai la strada è tracciata?

Israele, con Netanyahu, va avanti con i suoi obiettivi. Dovrebbero essere gli USA a sganciarsi e lanciare segnali forti.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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