A seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea, le associazioni di albergatori si muovono per vie legale contro Booking.com
Se un tempo un albergo voleva farsi scegliere doveva armarsi di tanta pazienza, investire denari in pubblicità, offrire servizi originali ai propri clienti, e contare tanto sulla reputazione e sul passaparola. Dal 2000 è cambiato tutto.
È l’anno in cui Bookings.nl (una piattaforma di prenotazioni online nata ad Amsterdam quattro anni prima) si fuse con Bookings Online, dando vita a Booking.com, proprietà statunitense con sede in Olanda, divenuto in poco tempo il colosso leader nel segmento OTA (Online Travel Agency, le agenzie di viaggi online), un sito web (disponibile in 43 lingue) che oggi propone oltre 28 milioni di strutture alberghiere nel mondo.
Grazie alle OTA anche piccoli hotel a conduzione familiare hanno potuto accedere a visibilità prima impensabili, finendo sulle videate dei device accanto a strutture ben più blasonate, forti di marchi storici o internazionali.
Tutto bene? Insomma. Tutto ha un prezzo, e anche l’inserimento nel bouquet di Booking.com costa, e costa sempre di più. Le percentuali richieste dall’OTA sono andate a crescere nel tempo, e variano secondo l’appeal della struttura, ma si sa che oggi si parte da una tariffa base del 18% per arrivare al 25-30%, seguendo – secondo Federalberghi – un meccanismo complesso (magari con dovuti algoritmi) in base alla visibilità richiesta.
Il gigantesco giro d’affari è facilmente intuibile calcolando i numeri in campo: l’Italia conta 32.194 alberghi (686 a 5stelle, 6.416 a 4s, 14.736 a 3s, 4.985 a 2s, 2.329 a 1s e 3.042 residenze turistico alberghiere) che offrono ospitalità tramite la piattaforma, e in media circa il 40% del loro giro d’affari arriva da Booking.com.
Per arginare i diktat imposti dall’OTA, gli alberghi propongono la relazione diretta con i clienti, spesso offrendo tariffe leggermente migliori anche tramite i propri siti web. Ed è questa la frizione che s’è andata creando tra alberghi e OTA, che hanno previsto nei loro contratti una rigida clausola sulla “parità tariffaria”, peraltro già vietata dal 2017, ratificata dall’Antitrust.
Lo scorso settembre la Corte di giustizia europea ha dichiarato fuori legge quelle clausole dalla piattaforma (la parity rate che vieta la vendita delle camere a prezzi inferiori). E adesso la federazione europea delle imprese alberghiere e della ristorazione Hotrec ha lanciato la campagna “prenota direttamente”, attraverso i siti web delle strutture, la posta elettronica, i canali social, la messaggistica, il telefono.
Lo scorso 11 giugno il Consiglio direttivo di Federalberghi ha approfondito le caratteristiche dell’azione legale collettiva contro booking.com promossa da Hotrec e sostenuta dalle associazioni nazionali degli albergatori di ventisei Paesi, per chiedere i danni (si parla del 30% più interessi sulle commissioni pagate dal 2004 al 2024) con un’azione legale collettiva, sostenuta gratuitamente (con una modesta percentuale sugli eventuali fondi recuperati) dai legali della Cartel Damage Claims (CDC), società leader in Europa nel campo del recupero danni conseguenti alla violazione della normativa antitrust.
Booking.com parla di ricostruzioni inesatte, sostenendo che il pronunciamento della Corte europea non apre la strada a richieste di risarcimento danni: “Se necessario continueremo a dimostrare in sede giudiziaria che le clausole non hanno effetti anticoncorrenziali”. Si vedrà. Intanto l’adesione all’azione legale in Italia è già iniziata e proseguirà per tutto luglio: per gli alberghi non ci sono costi, basta produrre le fatture relative ai pagamenti effettuati.
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