Il film di Richard Donner del 1985 sta per tornare nelle sale cinematografiche in versione rimasterizzata. Una pellicola da non perdere
Scrivere dei Goonies per un critico come il sottoscritto nato nel 1981 significa cercare di guardare con occhio maturo e lucido un film che ha segnato la sua infanzia, che è stato il pilastro dei sogni e dei giochi di una generazione. Oggi che il film diretto da Richard Donner nel 1985 torna nelle sale (dal 9 e all’11 dicembre) in versione rimasterizzata in 4K e Ultra HD, il critico ha la possibilità di raffrontare i propri ricordi con il film alla prova del tempo.
Per chi non lo avesse visto, I Goonies racconta del gruppo di ragazzini che dà il titolo al film, i quali stanno per essere sfrattati da una multinazionale che ha speculato sugli immobili in cui vivono. La loro unica possibilità è dare credito alla leggenda del tesoro di Willy l’orbo, di cui hanno trovato le tracce quasi per caso: ma a complicare i loro piani ci pensano i Fratelli, una famiglia criminale da poco evasa dal carcere.
Già leggendo i nomi del cast tecnico è evidente il posto che il film ha nel cinema degli anni ’80: Donner era il regista di Superman I e II e Ladyhawke, il soggetto è di Steven Spielberg e la sceneggiatura di Chris Columbus (Piramide di paura, lo script dei Gremlins), i re mida del cinema per ragazzi dell’epoca. Ma a riguardarlo oggi si comprende anche molto del cinema e dell’intrattenimento audio-visivo oggi, del senso di nostalgia perenne che permea la serie “Stranger Things” o la versione cinematografica di It (il cui romanzo di Stephen King è di un anno successivo ai Goonies).
Non tanto perché il film è il modello per operazioni e opere di quel tipo, ma soprattutto perché riassume e in un certo senso mette a sistema tutto un filone che sulla nostalgia, sul passato metteva le radici per poi lanciarlo verso il futuro: a partire da Guerre stellari e Indiana Jones, il cinema d’intrattenimento mirato a ragazzi e adolescenti era figlio dei serial cinematografici anni ’30, dei fumetti e dei romanzi d’appendice del secondo dopoguerra, un modo per riattivarne la memoria attraverso la loro attualizzazione (come si farà con James Bond, qui esplicitamente citato).
Il terzetto di autori condensa le citazioni, dà loro una struttura precisa che diventa una formula che prende in prestito (Indiana Jones e il tempio maledetto) ma a sua volta crea (la seconda parte è la prova generale di Indiana Jones e l’ultima crociata; gli sgangherati criminali sembrano i fratelli maggiori di Mamma ho perso l’aereo che Columbus dirigerà anni dopo), che si riallaccia al quel passato – i “vetusti” film di pirati con la magnifica entrata di Sloth e Chunk che cita Errol Flynn -, che esplicita l’immaginario da luna park che sottintendeva i modelli rendendolo un culto istantaneo e innalza un canto all’avventura, al gioco fisico, alla fantasia in un mondo in cui i ragazzi crescono con le catene della tv e del cibo spazzatura.
E poi basterebbero la perfezione dell’inizio (con il montaggio alternato del maestro Michael Kahn, montatore di fiducia di Spielberg), la commovente inquadratura finale, con la nave di Willie l’orbo che veleggia all’orizzonte o il perfetto lavoro sugli attori ragazzini per dire dei meriti direttamente cinematografici, e non solo culturali, di un film che è diventato la pietra angolare di un modo di costruire la nostalgia, di replicare il passato e la memoria senza esserne vittima.