Il collettivo Aiic ha creato IAM, la prima cantante italiana generata interamente dall'intelligenza artificiale
C’è una recentissima notizia, che come molte da un po’ di tempo riguarda una nuova frontiera dell’intelligenza artificiale. Dico subito che non ho una competenza specifica su questi temi, studiosi ben più titolati di me ne hanno già parlato, anche qui ed estesamente. Ho sempre avuto una passione per la fantascienza, iniziata, fin da ragazzo, con la lettura della Trilogia della Fondazione di Asimov. E già lì il grande scrittore faceva i conti con le implicazioni morali dell’invenzione di una macchina, diciamo, intelligente, se si sentì in dovere di stabilire le famose tre leggi della robotica.
Per non farla troppo lunga e venire ai giorni nostri, ho ritrovato gli stessi temi – ripresi ed ampliati – guardando la serie Westworld – Dove tutto è possibile, che dopo il boom della prima stagione del 2016 è andata via via perdendo ascolti, fino alla soppressione della quinta stagione. Forse perché nel frattempo la realtà stava prendendo il posto della fantasia.
Ma: fine delle premesse. Cosa è accaduto? Il fantomatico collettivo Artificial Intelligence Italian Creators (Aiic) (compagine di creativi che diffonde una cultura consapevole nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale), ha creato IAM, la prima cantante italiana generata interamente dall’intelligenza artificiale. Oltre, com’è ovvio, a canzone e video dell’artista, è stata prodotta una video intervista con l’artista in questione. Cioè con la sua rappresentazione visiva.
Partiamo dall’intervista: totalmente senza senso. Il giornalista del gruppo Gedi (Repubblica e La Stampa) intervista il simulacro di una macchina, ovviamente creata e programmata secondo certi criteri, come se stesse parlando con una persona reale. È l’equivalente di parlare con una marionetta e sperare che si animi da sola, senza qualcuno che muova i fili e parli. Fuori di metafora, per quanto sofisticata sia la tecnica, per quanto la realizzazione sia perfetta – e non lo è – per quanto enorme sia la massa di informazioni a cui le risposte attingono, dietro c’è sempre un pensiero.
E una post-produzione delle risposte; infatti la marionetta diventa subito vessillo di un mondo – quello virtuale – in cui siano possibili, più che in quello reale, inclusione e abbattimento delle barriere di ogni genere. Ma ancora più imbarazzanti sono le risposte spiritose che le vengono messe in bocca. La peggiore? “Ieri non esistevo e oggi sono qui, in prompt e ossa”. Per l’appunto: manca la carne.
E l’umorismo che viene generato ha la stessa efficacia di quando chiedi una barzelletta a Google, come pure l’incidenza di un “personaggio” simile è pari a quei video creati dall’AI con le rockstar dalle fattezze di quando erano bambini piccoli. Un gioco, ripeto, sofisticato quanto si vuole, ma ultimamente un gioco autoreferenziale, in cui chi intervista e chi è intervistato coincidono. Detto in maniera semplice, in nome di un uso etico dell’intelligenza artificiale, se la cantano e se la suonano.
Ci sarebbero tante implicazioni – anche solo sulla marionetta -, ma ne metto in luce solo un’ultima: il nome IAM porta evidentemente a I am, cioè io sono. Anche lasciando stare Jahvè, è una identificazione importante e falsa, perché anche questa è applicata dallo staff dei creator e non potrà mai rappresentare la consapevolezza del fantasma che porta quel nome.
Ce ne sarebbero molti di più, ma voglio affrontare solo un secondo e ultimo punto. Se ne legge ormai da anni, sono tante le implicazioni connesse al mondo delle intelligenze artificiali generative; sicuramente la velocità con cui tutto sta accadendo, e poi le questioni tecniche, i gap e gli errori possibili (si veda la sentenza del tribunale di Firenze ‘corrotta’ da una ricerca errata), la perdita dei posti di lavoro e financo implicazioni morali e di coscienza. Ma quello che a me, personalmente, interessa e preoccupa di più è questo subappaltare la creatività a una macchina. Fa sorridere – per non piangere – la dichiarazione che la canzone appena uscita verrà depositata alla SIAE. Ma di chi è veramente, effettivamente quella canzone? Si può parlare, come recita lo statuto SIAE, di opera dell’ingegno? Certamente, ma dell’ingegno di chi?
Questo – parlo da musicista – a me pare il fattore più preoccupante. In un mondo in cui già molta della musica, soprattutto nel pop, viene prodotta in serie, seguendo stili e produzioni standardizzate solo per scopi commerciali, l’affidare la produzione musicale (in toto o in parte) a un sistema artificiale non fa che aumentare ulteriormente questa tendenza, piallando ancora di più il gusto di chi ascolta e tirandosi dietro tutte le implicazioni tecniche, umane e morali su cui prima ho sorvolato: studi di registrazione che chiudono (non ce n’è più bisogno, posso fare tutto da solo), mestieri che scompaiono (che bisogno c’è di autori e arrangiatori?) ambiguità nell’attribuzione dell’opera, sia come artista che come autoralità.
Questo stesso concetto è stato messo sulla bocca dell'”artista immaginaria” sul suo profilo instagram. Spero che vi stiate stropicciando gli occhi, oppure scuotendo la testa davanti al computer: sì, IAM ha un profilo instagram, da cui sentenzia “pensavate che Petrella (uno degli autori di pop italiano più affermati, n.d.a.) potesse scrivere anche per me? Vi sbagliavate”. Insomma, non c’è più bisogno di chi scrive canzoni, ci pensa la macchina.
In conclusione, vorrei essere profeta di ventura e di sventura allo stesso tempo. Da una parte, credo che questa trovata, pur creando un po’ di discussione, abbia la portata culturale di un meme, o poco più, ripetendo quanto già enunciato sopra, un giochino, elaborato quanto si vuole, ma un giochino. Se non lo si spaccia come la trovata del secolo. E se verrà dimenticato presto, questa sarà la buona notizia.
Più profonda invece è la tematica connessa. Non ci rendiamo bene conto di quanta musica (soprattutto per la pubblicità, ma non solo) sia già prodotta da sistemi artificiali. Le major discografiche stanno già intentando cause legali milionarie contro i sistemi di AI, perché gli artisti virtuali da loro creati tolgono spazio, views e visibilità ai propri artisti reali.
Cominciano a essere pubblicati canzoni e album da persone che non sanno né cantare, né suonare, ma magari scrivono testi e li danno in pasto alle intelligenze musicali generative, le quali ci mettono tutto il resto, dalla scrittura di melodia e accordi, all’arrangiamento, allo stile vocale della voce sintetica che le canta. E poi, last but not least, c’è la questione – forse la più grossa – della violazione del copyright nella fase di addestramento dei sistemi.
Insomma, per tirare la riga (ma senza bloccare il giudizio, vista la velocità con cui lo scenario muta), grandi potenzialità tecniche, grande impoverimento della creatività. Almeno se la potenzialità pazzesca dell’intelligenza artificiale viene usata solo così. Un’apertura in altre direzioni è sviluppata (e da anni) da Sergio Conforti, forse noto ai più come Rocco Tanica, pianista e compositore già nella band Elio e le storie tese. Interessantissima questa sua intervista, e anche questa, che coinvolge anche altri aspetti. Se volete, leggetele e fatevi un giro sui suoi social e vedrete qualcosa di molto diverso, che ha a che fare certamente con una grande perizia tecnica, ma che al tempo stesso fa uso dei sistemi generativi con grande ironia e senza trascurare la musica. La sfida è aperta, via alle discussioni e alla prossima!
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