La Giornata della memoria si ripropone in questo tempo difficile come un’occasione non solo per ricordare quello che è stato l’Olocausto o per indignarsi perché gli uomini non hanno imparato dalla storia, ma anche per scoprire i segni di speranza che ieri come oggi possono intraprendere strade nuove per l’umanità, strade dove ci si ritrova a camminare insieme, tutti fratelli come dice papa Francesco.
Per cogliere questa dimensione fondamentale della vita e per poterla vivere oggi si può utilmente tornare a vedere un film del 2002 ancora di grande attualità: Il pianista di Roman Polanski che racconta la vicenda di un giovane pianista Wladyslaw Szpilman che si trova a Varsavia quando nel settembre 1939 viene occupata dall’esercito tedesco.
È lo stesso Szpilman a raccontare di quel suo periodo che per lui è affascinante, in quanto inizia a suonare il pianoforte, ma nello stesso tempo drammatico perché i tedeschi occupano la città polacca e chiudono gli ebrei nel ghetto: “Ho iniziato la mia carriera di pianista durante la guerra, al Café Nowoczesna, che si trovava in via Nowolipki, proprio nel cuore del ghetto di Varsavia. Quando nel novembre del 1940 i cancelli del ghetto vennero chiusi, la mia famiglia ormai da molto tempo aveva venduto tutto quello che si poteva vendere, persino quello che noi consideravamo il nostro bene più prezioso: il pianoforte. La vita, alla quale quei tempi avevano tolto ogni valore, mi costrinse tuttavia a vincere la mia apatia e a cercare un modo per guadagnarmi da vivere”.
E questo fa Szpilman, in ogni modo cerca di sopravvivere nella Varsavia occupata dai nazisti. Decisivo nella sua vicenda sarà l’incontro con il capitano della Werchmacht Wilm Hosenfeld, che scopre il suo nascondiglio: è un momento drammatico e molto emozionante, per il giovane pianista ebreo sembra arrivata la fine, ma non sarà così.
È lo stesso Wladislaw a raccontare quei momenti decisivi per la sua vita: “Me ne stavo seduto lì, a gemere, e guardavo con gli occhi spenti l’ufficiale. Solo dopo un bel po’ riuscii a balbettare a stento: ‘Faccia di me quello che vuole. Di qui non mi muovo!’. ‘Non ho intenzione di farti niente’- L’ufficiale si strinse nelle spalle. ‘Che fai per vivere?’. ‘Il pianista’. Mi osservò più attentamente con evidente sospetto. Poi il suo sguardo si posò sulla porta che dalla cucina conduceva alle altre stanze. Parve colpito da un’idea. ‘Vieni con me, su’. Andammo nella stanza adiacente che chiaramente doveva essere stata la sala da pranzo e poi nell’altra successiva dove, accostato alla parete, c’era un pianoforte. Mi indicò lo strumento. ‘Suona qualcosa!’. Possibile che non gli fosse venuto in mente che il suono del pianoforte avrebbe attirato immediatamente l’attenzione delle SS che si trovavano nelle immediate vicinanze? Lo guardai con aria interrogativa e non mi mossi. Lui avvertì i miei timori dato che aggiunse, in tono rassicurante: ‘Stai tranquillo. Puoi suonare. Se arriva qualcuno nasconditi nella dispensa. Dirò che lo stavo provando io, il pianoforte’. Quando posai le dita sulla tastiera, tremavano. Dunque questa volta avrei dovuto pagare un prezzo per la mia vita suonando il pianoforte! Non mi esercitavo più da due anni e mezzo, avevo le dita irrigidite e coperte da uno spesso strato di sporcizia. Non mi ero più tagliato le unghie da quando il caseggiato dove mi nascondevo era andato in fiamme. Non solo, ma la stanza dove si trovava il pianoforte era priva di vetri alle finestre, cosicché i meccanismi si erano gonfiati per l’umidità e resistevano alla pressione dei tasti. Eseguii il Notturno in do diesis minore di Chopin. Il suono duro e metallico delle corde scordate echeggiava attraverso l’appartamento vuoto, per le scale, fluttuava sulle macerie della villa sull’altro lato della strada e tornava indietro in un’eco sommessa e malinconica. Quando ebbi finito, il silenzio parve ancora più cupo e più sovrannaturale di prima. Da qualche parte della strada un gatto miagolava. Fuori si udì uno sparo. Un colpo secco, violento, tedesco. L’ufficiale mi guardò in silenzio. Poi trasse un respiro e bofonchiò: ‘Comunque faresti bene ad andartene! Ti porterò fuori città, in un paese dove potrai stare più al sicuro’. Scossi la testa. ‘Non posso lasciare questo posto’ risposi in tono fermo. Solo in quel momento parve capire la vera ragione per cui mi nascondevo tra le macerie. Sobbalzò, innervosito. ‘Sei Ebreo?’ chiese. ‘Sì’. Se fino a quel momento se ne era stato con le braccia conserte sul petto, adesso le abbassò e si sedette sulla poltrona accanto al pianoforte, quasi che quella scoperta richiedesse un’accurata riflessione. ‘Si beh – mormorò – adesso capisco perché non puoi andartene’ Di nuovo per un po’ apparve assorto in pensieri profondi, poi si girò verso di me per pormi un ‘altra domanda. ‘Dove stai nascosto?’. ‘In soffitta’. ‘Fammi vedere com’è lassù’.
Hosenfeld salvò il giovane pianista, poi con l’arrivo dell’Armata Rossa e per Wladislaw è finalmente la liberazione. Lui si era salvato, non Hosenfeld, che morì in un campo di concentramento a Stalingrado nel 1953, dopo sette anni di prigionia. Hosenfeld rimane nella memoria di tutti, lui rappresenta un segno di speranza, lui come tutti i giusti che hanno messo a rischio la loro vita per salvare un ebreo.
Fare memoria è oggi importante, bisogna però non solo mostrare il male che è stata la Shoah, ma anche e soprattutto far conoscere persone che gli ebrei chiamano i giusti e che noi oggi in questo anno giubilare possiamo chiamare testimoni di una speranza. È da persone così che testimoniano uno sguardo all’uomo in quanto tale che anche oggi si può costruire un mondo in cui ogni altro non è un nemico o uno straniero o un estraneo, ma una ricchezza.
Interessante il giudizio di Wilm Hosenfeld, Ufficiale della Wehrmacht, su quella terribile guerra che oggi può aiutare a giudicare quello che sta succedendo in tante parti del mondo: “Perché è dovuta scoppiare questa guerra? Perché bisognava mostrare all’umanità dove la stava conducendo la sua mancanza di fede. Innanzitutto il Bolscevismo ha ucciso milioni di uomini col pretesto di introdurre un nuovo ordine mondiale. Ma i bolscevichi potevano agire in questo modo solo perché si erano allontanati da Dio e dall’insegnamento cristiano. Ora il Nazionalsocialismo sta facendo lo stesso in Germania. Vieta alla gente di praticare la propria religione. I giovani vengono cresciuti senza fede, la Chiesa viene combattuta, espropriata dei propri beni. Tutti coloro che la pensano in modo diverso sono perseguitati. Lo spirito libero del popolo tedesco viene avvilito, uomini e donne sono ridotti a schiavi terrorizzati. La verità è bandita. Nessuno conta più nulla nel destino del proprio Paese”.
La speranza è che ogni persona in quanto persona torni a contare nello sguardo di tutti, è questo da riportare oggi nel mondo, quello che Cesare Pavese chiamava uno sguardo di simpatia umana, quello che Hosenfeld ebbe per Szpilman, uno sguardo a lui come essere umano, come fratello, e non come ebreo.
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