ILVA/ Il destino dell’acciaieria e la “profezia” di Manzoni

- Gerardo Larghi

Difficile dire cosa succederà all'ex Ilva di Taranto. Sembra essere sparito il buonsenso e a farne le spese potrebbero essere i lavoratori

risultati elezioni europee 2019 circoscrizione isole Luigi Di Maio (Lapresse)

Permetteteci di cominciare con un esordio nostalgico, ma nessuna paura (o speranza per taluni …), non parlerò di nostalgia del Ventennio, ma della nostalgia che ti prende quando ti rendi conto che da adolescente non avevi capito nulla e da adulto non ti resta che piangere. Sì, nostalgia di Don Lisander, come lo chiamiamo noi del Lago (il solo vero lago, of course, quello di Como) e della sua saggezza.

Mentre guardavamo agli avvenimenti dell’Ilva, alla sua storia, al laocoontico nodo in cui sono avviluppati i bisogni dei lavoratori, i desideri dell’azienda e la furia iconoclasta del Governo, ci è sovvenuta la famosa massima manzoniana, quella per cui “il buonsenso c’era ma stava nascosto per paura del senso comune” e ci ha invaso un’intensa nostalgia. Sì certo, confessiamo, per i nostri quattordici anni e magari per il ricordo dei begli occhi della compagna di banco, ma soprattutto per come questo nostro benamato Paese si sta riducendo. Con un Governo che promette, poi smentisce, poi allude, poi ribadisce, poi chiarisce, poi scurisce e infine gracchia un inno alla pulizia e alla lotta di casta. E un’azienda, la ArcelorMittal, che acquista, sottoscrive, assicura, traccia piani di sviluppo, e poi manda in Cassa integrazione 1395 lavoratori dello stabilimento di Taranto senza un motivo, senza nemmeno un plissé. Così, solo perché ci garba.

Certo, la lite tra Giggino Nostro e gli indiani è una cosa seria, perché quando un viceprimo ministro litiga con una multinazionale diamo tutti per scontato che ci abbia riflettuto, che conosca il dossier, che se lo studi ogni sera prima di dormire e magari anche durante la breve notte che si concede per sovvenire agli italici bisogni. O meglio speriamo sia una cosa seria, perché a oggi nessuno saprebbe davvero dire per cosa stanno negando sulla pelle di qualche decina di migliaia di lavoratori del più grosso polo manifatturiero italiano e di uno dei più grossi poli europei. Perché qualcuno aveva promesso una “clausola di non imputabilità” per i dirigenti dell’impresa? Sì forse. Perché i programmi (già ma quali?) non si stanno rispettando? Boh.

Sta di fatto che in vista degli incontri convocati dal vicepremier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio per oggi 4 e il 9 luglio, l’azienda ha deciso di partire ugualmente con la procedura, in programma proprio da lunedì. Sbaglia l’azienda: lo diciamo con forza e con certezza. Per una volta che Giggino si occupa direttamente di un problema valeva la pensa stare a vedere e aspettare. Perché forzare la mano? Perché mandare all’aria tutto per un’impuntatura?

Sì, magari qualcuno avrà anche promesso che nulla sarebbe successo, che la Magistratura si sarebbe fermata davanti a eventuali ipotesi di reato, ma chi davvero ci ha creduto? Mai sentito parlare, in un Paese del Common Law come l’antichissima, di civiltà, India, della separazione dei poteri dello Stato? Dice: il Governo l’aveva promessa e ora l’hanno tolta a partire dal prossimo 6 settembre: per cui, dice ArcelorMittal, chiuderemo lo stabilimento senza una tutela legale sugli interventi del piano ambientale. Mica vogliamo andare in galera! Ma sù, le nostre non galere non sono malaccio, in fondo!

Ecco, l’India è Paese nobilissimo, patria di quella sacra lingua che fu il sanscrito, dalla complessità sociale inimmaginabile per noi europei, ma forse non abbastanza pronto per capire le sottigliezze del nostro Governo che più che bipartitico a volte sembra bipolare. Perché se Giggino lavora per la legalità (o almeno lo fa a Taranto…), il viceministro all’Economia Massimo Garavaglia (di fede Lega) ribadisce che non si può chiudere l’ex Ilva e che serve una norma per immunità. «Con il primo provvedimento utile, se serve, inseriamo la norma e la approviamo», ha garantito con salviniano decisionismo e gettando il cuore oltre l’ostacolo.

Sì, quasi le stesse parole (ironia portami via) che sono state pronunciate dal fronte pentastellato dell’esecutivo, per bocca del ministro per il Sud Barbara Lezzi: «È doveroso respingere, con serietà e responsabilità, la spinta verso la conservazione di privilegi inaccettabili quali il ripristino dell’immunità per ArcelorMittal». Anche Barbara, ci permetta questa confidenzialità, tanto siamo tutti cittadini uguali e il Voi sa tanto di Ventennio, non ha dubbi. Per cui, per abbreviare le sofferenze di quelli operai, impiegati, tecnici pugliesi che guardano disorientati a Roma, proponiamo che il Governo emani un provvedimento bipartito con indicazioni bipolari: le prime dieci righe reintroducano l’immunità; le successive la tolgano, prima di lasciare posto all’inevitabile conclusione dell’ineffabile Giuseppe Conte secondo cui la stessa verrà lasciata e tolta a giorni alterni.

Intanto come volete che vadano gli incontri al Ministero tra l’ex Ilva e i sindacati per una verifica sull’attuazione degli accordi di riconversione ambientale dell’acciaieria dello scorso settembre? Ovvio che le posizioni tra le parti siano ancora molto distanti: i sindacati, uniti, chiedono che gli accordi si rispettino; l’azienda fa orecchie da mercante perché conta sulla pressione che i tarantini possono fare sul Governo; il Governo appunto decide, non decide, decide, non decide, con la frequenza della luce intermittente nei presepi natalizi.

Per favore ridateci il buon senso: ne abbiamo le tasche piene del senso comune di chi, tra eia eia e ghigliottine minacciate, non riesce a mettersi d’accordo neppure sul fatto che salvare il polo siderurgico sarà interesse nazionale, sarà anche un bene per il Sud, ma anzitutto è una necessità per quelle decine di migliaia di famiglie che a fine mese devono pagare un mutuo, mandare i figli a scuola, vivere dignitosamente.

Sì, ci sono fondi da spendere, ma ci sono menti che vogliono dar corpo a questi progetti? Ci piacerebbe sapere se Giggino ha anche solo una vaga idea di cosa sia il Cis, il Contratto istituzionale di sviluppo, e soprattutto se qualcuno voglia dar corpo a quei progetti di ogni genere pensati e approvati con il fine esplicito di affiancare la siderurgia con altri interventi e prodotti, a quel un piano industriale che prevede un investimento di oltre 3 miliardi da destinare all’ambiente ed alle bonifiche.

Siamo stanchi di vedere il film di un Paese in preda ai tweet, ansioso di commentare i like, nevrotico nel manovrare le fake: ridateci un Paese che non sia più preda di quel che con grande efficacia descrive don Lisander parlando degli untori della peste “il buonsenso c’era ma stava nascosto per paura del senso comune”.

Perché “la Repubblica vive dell’esercizio della responsabilità di ciascun cittadino” e, scusateci se è poco, ma queste sono parole dell’attuale Presidente della Repubblica: lo diciamo subito onde evitare che qualche buontempone ci denunci per appropriazione indebita di idea intelligente.







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