ILVA/ Lo schema Obama-Chrysler che l’Italia può replicare
Per risolvere la situazione dell’ex Ilva, il Governo potrebbe decidere di replicare lo schema usato da Obama con Chrysler

L’immagine di Giuseppe Conte, pugliese d’origine, tra i lavoratori dell’Ilva di Taranto è un fatto inedito. In un contesto in cui, drammaticamente, lavoro e salute sono elementi antitetici, solo il fattore umano può fare la differenza. La presenza del Premier dentro la grande fabbrica introduce questa novità e, a questo punto, anche nuovi spiragli per una vertenza la cui complessità è elevatissima.
Non è elemento da trascurare nemmeno l’esito dello sciopero proclamato dai sindacati: l’adesione dei lavoratori si è concentrata maggiormente nell’indotto e, esternamente alla fabbrica, non vi erano presidi sindacali. Ciò vuol dire che lavoratori e sindacati hanno presente la difficoltà della situazione e, anche, le responsabilità della politica rispetto alla possibilità – remota a parere di chi scrive – che Arcelor Mittal lasci il nostro Paese.
La nazionalizzazione di Ilva, argomento di cui si parla conseguentemente all’annuncio di Mittal di recedere dagli accordi che ha con lo Stato Italiano, è un’idea folle: non solo per gli ingenti costi – si stimano circa 8 miliardi in 5 anni senza considerare la variabile di un possibile risarcimento dei danni -, ma fondamentalmente perché solo l’industria privata è custode di quella sofisticata expertise che è necessaria per guidare la complessità dell’industria e un’operazione ingente come il rilancio di Ilva.
L’accordo tra Governo e Mittal prevede un investimento di 4,2 miliardi di euro e l’impossibilità di licenziamenti fino al 2023, qualunque sia il ciclo economico. Il contratto in oggetto, com’è noto, è stato messo a rischio dalla revoca dello scudo penale, cosa per cui l’azienda ha minacciato il disimpegno e la richiesta di danni – difficilmente calcolabili – allo Stato Italiano.
Nel contratto non vi è espressamente il richiamo allo scudo penale, ma vi è scritto che in caso di mutamenti della normativa ambientale che rendano impossibile l’esecuzione del contratto, dallo stesso si possa recedere. Perché questo è sicuramente un caso di possibile recesso e richiesta danni? Perché lo scudo penale, come abbiamo scritto su queste pagine in tempi non sospetti, c’era già per i commissari straordinari (dal 2015), non è una norma nata per Mittal. Non vi è nessuna logica per cui debba valere per il pubblico (i commissari) e non per il privato (Mittal).
Ecco che ora, dinanzi a questo errore macroscopico della politica, in presenza di un ciclo economico drasticamente cambiato – per via della crisi dell’auto e della concorrenza cinese e turca – Mittal vuole una riorganizzazione: tradotto, 5.000 esuberi. E il Governo, a questo punto, non può chiedere il rispetto degli accordi perché è stato il primo a violarli.
Oggi il sig. Lakshmi Mittal sarà a palazzo Chigi. Secondo indiscrezioni, il piano del Governo dovrebbe prevedere condizioni più favorevoli per la multinazionale, il ripristino dello scudo penale e la possibilità di un intervento a tempo finanziato dello Stato. Due le ipotesi: un maxi-sconto sul prezzo che ArcelorMittal paga per l’affitto e che ha già messo sul piatto per l’acquisizione dell’ex Ilva (1,8 miliardi) e una trattativa per ridurre gli esuberi. Il Governo è costretto a trovare un accordo: oltre alle possibili penali, non possiamo perdere un asset strategico come Ilva e la siderurgia.
Uno Stato moderno è in grado di creare condizioni per lo sviluppo economico e capace di massimizzare il suo “profitto” a favore della comunità sociale. La nazionalizzazione sarebbe un fallimento annunciato, fortuna vuole che i soldi non ci sono. A ogni modo, il Governo sarà necessariamente partecipe della crisi industriale di Ilva che finirà col gravare pesantemente sui conti pubblici.
La soluzione ideale sarebbe quella di arrivare a ottenere una quota del capitale sociale di Arcelor Mittal. Questo avrebbe risvolti interessanti: lo Stato sarebbe così partecipe di fatto del rilancio di Ilva e dimostrerebbe di crederci, si ridurrebbe così la distanza tra fabbrica e comunità tarantina, lavoro e salute sarebbero fattori sempre meno antitetici. E, anche politicamente, M5s e Pd potrebbero crescere il loro consenso attraverso un’operazione con queste caratteristiche. Qualcosa di simile a ciò che fece Obama con la nascente Fiat-Chrysler nel 2009. Gli strumenti ci sono (la Cdp), sono semmai le teste a mancare.
È da vent’anni che si dice che i lavoratori devono essere “imprenditori di loro stessi”. Lo sia anche lo Stato, senza rubare il lavoro a industriali e impresari.
Twitter: @sabella_thinkin
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