«Ho appena accompagnato un operatore cinese da un’artigiana italiana: che gli ha spiegato come la sua attività ha suoi tempi naturali, così come la natura ha i suoi tempi. L’economia e l’impresa non possono porsi in contrapposizione all’uomo e all’ambiente, nascono da un’antropologia e da un’ecologia: e l’artigiano è tuttora un interprete forte di questa cultura che da vent’anni noi teniamo viva alla Fiera di Milano, nei giorni che precedono il Natale». Antonio Intiglietta risponde alle domande del Sussidiario.net mentre sta girando fra gli stand della piattaforma di Rho all’inizio del quinto giorno di Artigiano in Fiera. «C’è un pubblico diverso, più visitatori che vengono anche da luoghi lontani». La fiera di dicembre – tradizionale ma sempre diversa – riesce a stare in scia all’Expo, che del resto ha molto anticipato nella proposta culturale e nella prospettiva sempre più globale.
Fra le tradizioni di Artigiano in Fiera c’è anche la ricerca commissionata alla Fondazione per la Sussidiarietà, per la supervisione degli economisti Paola Garrone e Gianmaria Martini. Una sonda statistica che è riuscita a muoversi in tutti i meandri di quella che resta “miniera umana” autentica, ricchissima, mai del tutto esplorata, dice il patron di GeFi e di Artigiano in Fiera.
Cosa l’ha colpita di più della ricerca?
Certamente le conferme sul ruolo dell’artigianato italiano nella resistenza a una crisi di durezza e lunghezza senza precedenti. Gli artigiani hanno reagito con gli attrezzi classici delle loro botteghe: l’innovazione di prodotto e di processo, l’immissione di dosi ulteriori di qualità e di imprenditorialità. Negli anni del grande falò della finanza, gli artigiani hanno rilanciato in prima persona la loro visione dell’economia: lavoro, creatività, ricerca, investimento generato dal risparmio. E hanno dato crescente importanza alle dimensioni reali dell’economia immateriale: il marketing, la distribuzione digitale, l’esplorazione sistematica e professionale di mercati lontani, che un tempo potevano sembrare irraggiungibili e oggi invece mostrano enorme interesse per il Made in Italy artigiano.
Ogni edizione dell’ Artigiano in Fiera pone di per sé una domanda: cosa puo fare il government del Paese per aiutare questo pilastro dell’Azienda-Italia?
La ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà ha raccolto un dato trasversale al campione di 120 imprese: il 24% del tempo di lavoro di un artigiano è assorbito da attività amministrative. Io temo che dentro questo tempo ve ne sia parecchio “rubato” da oneri impropri: da adempimenti burocratici che vanno a premere, talvolta in modo brusco, sulla giornata dell’artigiano. Io penso che il miglior sussidio che tutte le amministrazioni pubbliche possano fare agli oltre 3 milioni di artigiani italiani sia quello di liberarli dai costi della burocrazia: capire che il Pil torna a crescere se si accelera al massimo il tempo di apertura di un laboratorio o di un capannone. E questo vale per chi è già artigiano, ma soprattutto per chi lo vuole diventare.
Il campione della ricerca individua in 46 anni l’età media dell’artigiano: ma è appunto una media fra ventenni e settantenni….
Sì ed è un altra indicazione sui cui, secondo me chi fa politica per l’impresa dovrebbe riflettere molto. Il 2015 si conclude con una disoccupazione giovanile ancora elevatissima e con un consenso crescente sull’opportunità di una più elevata flessibilità in uscita dal lavoro dipendente. Lo stesso Jobs Act, in fondo, riflette un’economia in cui il lavoro dipendente non è più dominante. Molti dei giovani disoccupati un posto di lavoro tradizionale non lo troveranno mai e molti over 50 lo perderanno in modo più o meno flessibile: l’artigianato non è più solo un’opzione, ma è l’alternativa strategica per decine di migliaia di persone. Che saranno protagoniste non solo di un fenomeno economico collettivo, ma di un’avventura umana individuale. Se il sistema-Paese non comprende tutte le dimensioni, le opportunità e le esigenze di questa dinamica corale nel suo corpo sociale si priva di una risorsa cruciale per la ripresa.
Quella artigiana, emerge dalla radiografia statistica, rimane un’impresa familiare. Niente fusioni, niente investitori esterni.
Secondo me, non è una cattiva notizia. È la turbofinanza che ha alienato la persona che lavora, la persona che “intraprende”. È l’idea che il profitto finanziario sia un “a priori”, una variabile indipendente che tanti problemi ha seminato nell’economia, che ha in parte germinato l’ultima crisi. Ma non vorrei essere frainteso: l’impresa artigiana ha bisogno di buoni servizi finanziari come qualunque altra impresa: i problemi nascono quando bussa in banca e non riceve più risposta alcuna. L’impresa artigiana ha bisogno di partnership, di alleati: ma non sono quelli propri del merger and acquisition di Borsa. Sono invece altri nodi di una rete in cui l’artigiano è protagonista. Sono gli altri artigiani con cui, ad esempio, ci si ritrova in una missione commerciale all’estero. Una rete è un progetto di piattaforma di e-commerce sulla quale centinaia, migliaia di artigiani trovano modalità aggiornate per la comunicazione e il marketing: per la valorizzazione integrale del contenuto dei loro prodotti. Ci sono passi in avanti che l’artigiano da solo non può compiere.
Età media dell’impresa: 29 anni. Imprese di prima generazione: 49%. E il 47% del campione della ricerca non ha ancora deciso la successione. Esiste un problema “generazionale” nell’artigianato?
Ovviamente sì, ma non è irrisolvibile e la chiave sta ancora una volta nell’aver fiducia negli artigiani: nell’aiutarli, senza imporre loro tentativi generali di soluzione dall’esterno. L’artigiano continuatore è tipicamente l’allievo del maestro. È colui che vuole fare l’artigiano, che è rimasto colpito e affascinato da una bottega o da un gesto. Anche se la ricerca evidenzia bene come la scolarità degli artigiani sia ormai elevata in assoluto e progredita nel tempo, è l’artigiano che sceglie il suo successore o il successore che sceglie il suo maestro. E quest’ultimo può essere un giovane disoccupato che cerca riscatto o un giovane che torna dall’estero. Bisogna favorire questi incontri. Bisogna fare in modo che le botteghe artigiane restino aperte e in buona salute: troveranno chi le porterà avanti, mantenendo la competitività del made in Italy e anche i livelli occupazionali. Noi dell’Artigiano in Fiera – e speriamo altri nei rispettivi ruoli d’impegno – abbiamo il dovere sociale di aiutare il settore.