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Home » Impresa » INCHIESTA/ Le imprese: il reddito di cittadinanza ci affossa e distrugge la ripresa

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INCHIESTA/ Le imprese: il reddito di cittadinanza ci affossa e distrugge la ripresa

Dall’edilizia al turismo, al Sud per gli imprenditori è impossibile trovare manodopera. Colpa della “concorrenza” del reddito di cittadinanza. Ecco alcuni casi

Marco Biscella
Pubblicato 11 Luglio 2021
Manifestazione davanti al Mef (LaPresse)

Manifestazione davanti al Mef (LaPresse)

“Qui c’è un problema serio di personale che non si trova. Siamo tutti in grosse difficoltà, soprattutto nel settore delle pulizie. Proprio ieri mi ha chiamato un albergatore che era alla ricerca disperata di personale”. Mail come questa, ormai, sono all’ordine del giorno, a scambiarsele sono gli imprenditori del Sud, specie quelli attivi nei settori che stanno faticosamente cercando di ripartire, come il turismo e la ristorazione. Ma anche nell’agricoltura, nell’edilizia e nell’autotrasporto il grido d’allarme è lo stesso. “Il guaio è sempre quello”, come si lascia andare un ristoratore pugliese, e ha un nome ben preciso: reddito di cittadinanza.


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La distribuzione geografica per macro aree vede 1,8 milioni di percettori al Sud, 452mila al Nord e 334mila nel Centro Italia. Nella sola città di Napoli, secondo i dati dell’Inps aggiornati a fine aprile, la spesa per il reddito di cittadinanza è quasi pari a quella per l’intero Nord Italia: nel capoluogo della Campania, infatti, lo Stato ha speso 102,2 milioni contro i 109,7 milioni per il Settentrione. Ed è sempre la Campania a guidare la classifica delle regioni con più beneficiari del reddito di cittadinanza, un record che dura da tempo. A maggio 2021 si contano in quella regione 255.245 nuclei familiari e 692.368 persone coinvolte per un importo medio del reddito di cittadinanza di 650,61 euro. A seguire nella classifica, poi, si trovano Sicilia (222.902), Lazio (117.427) e Puglia (108.774), tutte sopra quota 100mila. Al quinto posto la Lombardia con 86.865 (ma su 10 milioni di abitanti) e a un’incollatura la Calabria: 80.070 beneficiari su una popolazione, però, cinque volte inferiore.


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Bastano questi numeri per capire dove si annidi il problema: quei 650-700 euro di sussidio stanno diventando una sorta di rendita sociale, un assistenzialismo parassitario che allontana dal lavoro, soprattutto i giovani, come aveva già denunciato Antonio Intiglietta, imprenditore nel settore agricolo e della ristorazione: “Il dato di partenza è che ci troviamo in una situazione per cui chi cerca oggi persone da occupare fa fatica: non solo chi sta cercando di ripartire, con tutte le difficoltà del caso, ma anche i grandi chef non riescono a trovare personale. E nel mondo dell’agricoltura, allo stesso modo, è quasi impossibile trovare lavoratori, pagandoli in modo dignitoso e regolare”.


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“Situazione disperata”, “assistenzialismo irresponsabile”, “orgia statalista”, “dramma educativo”. Al solo sentir parlare di reddito di cittadinanza molti imprenditori rispondono con toni allarmati. La misura ibrida – metà welfare e metà politica attiva – che i Cinquestelle hanno fortissimamente voluto per combattere la povertà creando nuovo lavoro si è via via trasformata in una sfida impossibile, in una pia illusione, in una comoda via di fuga dalla fatica di trovare un impiego e ora in un “efficace oppiaceo”, come ha ricordato proprio sul Sussidiario Pietro Marzano: il Rdc “ha ormai creato un effetto di assuefazione sociale che sarà però difficile vincere”, tanto che “non è raro che si senta sempre più in giro la lamentela che per lavori non altamente qualificati, ma comunque importanti per la filiera produttiva, non si trovi manodopera”.

“Siamo disperati, non sappiamo più come fare e tutto ci sta costando molto di più – conferma per esempio Andrea Tagliamonte, titolare di Villa Vittoria, azienda di Napoli Posillipo che opera nel campo della ristorazione e dell’edilizia –. Da quando è iniziata la ripresa, stiamo affannosamente cercando manodopera e in Campania le richieste inevase sono oggi triplicate. Ma anche in Puglia ci sono grossi problemi, anche nel settore dell’autotrasporto. Nella ristorazione è impossibile trovare i camerieri e nell’edilizia, dove siamo molto impegnati in lavori legati al superbonus del 110% o all’ecobonus, è dieci volte peggio. Durante la pandemia il reddito di cittadinanza è stato una misura utile di welfare per aiutare le persone rimaste senza lavoro a tirare avanti. Adesso, però, che senso ha? Nessuno li controlla e non c’è nulla che tuteli noi imprenditori, che comunque non possiamo arrenderci. Bisogna invece, assolutamente e in tempi record, chiarire che i percettori del reddito devono essere convocati, se rifiutano il lavoro una o due volte perdono il beneficio. È venuto il momento di regolamentarlo”.

“Ci mancano soprattutto camerieri e addette alla pulizia – è il grido accorato di Franco Falcone, presidente di Buone Vacanze Hotels, che gestisce in Calabria diverse strutture ricettive a 4 stelle –. È difficilissimo trovarli, sebbene noi non ci stanchiamo di fare selezioni, di affidarci al passaparola, di sfruttare i canali social”. Anzi, oltre al danno c’è pure la beffa: “Abbiamo dovuto aumentare i costi dei dipendenti, pur di non perderli o convincerli a venire a lavorare. Quindi paghiamo dazio due volte”.

Il perché è presto detto: “Ormai tutti quelli che hanno il reddito di cittadinanza ci pongono sempre la stessa condizione: verrebbero a lavorare da noi solo in nero. Non nego che il reddito di cittadinanza possa essere utile per chi si viene a trovare nell’emergenza, ma il grosso problema è come viene utilizzato oggi: è una cosa che non ha né capo né coda, è scriteriato, è un assistenzialismo irresponsabile. Ed è un dramma educativo, specialmente al Sud, perché tanti ragazzi stanno percependo i 700 euro del sussidio bivaccando senza far nulla durante la giornata. È come uccidere il talento, la voglia di intrapresa delle persone”.

Se non si trova il personale vedrà dunque sfumare la stagione estiva? “Se mancherà la manodopera – risponde Falcone – corro il rischio che il personale in attività, costretto a un sovraccarico di lavoro, decida di andarsene oppure che non riesca a vendere le camere. E ad agosto, dove speriamo di poter avere tassi di riempimento più alti, che cosa facciamo?”.

Per Falcone si può ancora invertire la rotta: “Basterebbe che i centri per l’impiego venissero messi nella condizione di fare il loro mestiere. Ho lavorato anni fa in Svizzera e lì funzionano: se uno, chiamato da un centro per l’impiego, rifiuta il posto di lavoro che gli viene offerto, perde il sussidio”.

Anche Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio studi di Confartigianato, conferma che “gli imprenditori segnalano una difficoltà crescente e diffusa a reperire personale, c’è una restrizione in parte legata, soprattutto nelle qualifiche medio-basse, anche alla presenza del reddito di cittadinanza”. E conclude: “Il tema si presenta comunque molto complesso, perché questa forma ibrida di sussidio ha un suo significato e valore dal punto di vista del welfare, ma di certo presenta distorsioni e disfunzioni, assolutamente da correggere, sui meccanismi del mercato del lavoro”.

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