Infermieri, 32,3% ha subito aggressioni sul lavoro/ 125mila casi sommersi in un anno
La denuncia di Barbara Mangiacavalli, presidente della FNOPI: “Infermieri da eroi del Covid a vittime invisibili”. Ecco i dati

Le cifre parlano chiaro, gli infermieri sono sempre più a rischio aggressione. La ricerca CEASE-it non lascia spazio a dubbi: il 32,3% dei professionista, quasi 130 mila persone, nell’ultimo anno ha subito violenza nel corso dei turni di lavoro. Ma non è tutto purtroppo: una cifra pressochè identita, 125 mila, rappresenta i casi sommersi, non denunciati. Tre sanitari su quattro nel mirino dei violenti sono donne.
La ricerca sulle violenze ai danni degli infermieri si è conclusa nell’aprile 2021 e ha coinvolto otto università italiane su iniziativa della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche. Uno dei limiti segnalati dalla Fnopi è dato dalla carenza d’organico: secondo quanto riportato da Nurse Times, un’assistenza efficiente si ha con un rapporto infermiere paziente 1 a 6 ma, allo stato attuale, il rapporto è 1 a 12.
Infermieri, 32,3% ha subito aggressioni sul lavoro
Secondo la Federazione, sarebbe necessario incrementare l’attuale organico con 70 mila infermieri aggiuntivi. Oltre al rischio di restringere il tempo di una cura, non bisogna sottovalutare il pericolo di “burnout”, che tocca il 33% di professionisti. “Per restituire dignità all’attività professionale e per garantire la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo”, l’analisi di Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri: “È quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i “lavori gravosi. Lo studio descrive le caratteristiche degli episodi di violenza e individua i fattori predittivi e le cause. I correttivi di cui c’è bisogno derivano da qui. E su queste basi sarà sicuramente più immediato il lavoro dell’Osservatorio di tutte le professioni che il ministero della Salute coordina, anche per organizzare la formazione”. La professoressa Annamaria Bagnasco, dell’Università di Genova, coordinatrice della ricerca, ha messo in risalto che una delle concause dimostrate dallo studio è la comunicazione inadeguata che intercorre tra il personale e l’assistito e/o l’accompagnatore: “Tuttavia, i processi comunicativi sono ampiamente influenzati dall’ambiente di lavoro, dallo staffing e dal benessere dei professionisti. In questo momento lo studio sta fornendo ulteriori dati, su cui stiamo lavorando, per mettere in correlazione lo staffing, il benessere degli operatori e il benessere dei professionisti con gli episodi di aggressione, al fine di poter ipotizzare i fattori predittivi di questi eventi”.
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