L’inflazione italiana a ottobre è scesa all’1,8% dal 5,3% di settembre facendo segnare il numero più basso da giugno 2021. Sono stati due anni particolari perché dall’ottobre 2021 l’inflazione ha prima passato il 3% per poi rimanere sopra il 5%, con punte di quasi il 12%, da febbraio 2022 fino allo scorso settembre. Il crollo dell’inflazione di ieri segna una nuova fase che ha implicazioni per la politica monetaria dell’eurozona; se l’inflazione è sconfitta e se i segnali di rallentamento dell’industria e dell’economia europee si moltiplicano non è più necessario mantenere i tassi a questi livelli e, anzi, sarebbe consigliabile un taglio. Invece, con ogni probabilità, la Banca centrale europea aspetterà prima di invertire la politica monetaria.
Il calo dell’inflazione di ottobre è frutto del crollo delle spese per bollette e combustibili che fanno segnare una riduzione del 17,6% rispetto a ottobre 2022. La maggior parte delle altre voci rimane sensibilmente superiore al 2%; le spese per alimentari e bevande salgono ancora del 6,5%, quelle per i trasporti del 5,2% e quelli per i “servizi ricettivi e di ristorazione” del 6,2%. Il dato di ottobre riflette una base di paragone particolarmente facile perché dodici mesi fa la crisi energetica europea era ai massimi dopo un’estate con i prezzi dell’elettricità a quasi 500 euro a megawattora e un quarto trimestre con i prezzi stabilmente superiori ai 200 euro. La base di paragone “facile”, riguardo alla componente energia, durerà fino ai primi due mesi del 2024 per poi scemare.
Il “dato” core è ancora alto e il cumulato, dopo due anni di rincari, pesa sulla spesa delle famiglie con numeri che, nel caso degli alimentari, sono superiori al 20%. L’inflazione al netto dei soli bene energetici è ancora al 4,2% dal 4,8% di settembre. La fine dell’inflazione in Italia e in Europa è “appesa” alla normalizzazione dei mercati energetici su cui probabilmente, visti i recenti sviluppi, non è il caso di scommettere a occhi chiusi. Qualsiasi peggioramento dei mercati energetici farebbe immediatamente risalire l’inflazione a meno di ipotizzare una recessione severa.
Il contesto di fondo rimane strutturalmente inflattivo: la fine della globalizzazione e le guerre commerciali, le tensioni sui mercati energetici e la transizione “green” e le curve demografiche sono forze inflattive di lungo periodo. Il contraltare di queste forze sono tassi di interesse strutturalmente più alti a meno, appunto, di ipotizzare recessioni severe. Un quadro di rallentamento normale in presenza di difficoltà nei mercati energetici non garantisce la fine dell’inflazione nel lungo periodo.
Questo è un problema europeo che si comprende in relazione agli Stati Uniti. Washington vive una fase di reindustrializzazione, può contare su risorse energetiche importanti e può permettersi, avendo la valuta di riserva globale e una domanda di dollari assicurata, tassi più alti dei concorrenti nonostante politiche fiscali molto generose. Gli Stati Uniti possono permettersi un approccio più aggressivo contro l’inflazione e questo butta nel campo europeo la questione della tenuta del cambio.
Per proclamare la fine dell’inflazione in Europa bisognerebbe avere, come minimo, una ragionevole certezza sul destino dei mercati energetici. La base di paragone, rispetto all’esplosione della crisi energetica, consente altri tre o quattro mesi “facili”. Non solo, se la crisi più preannunciata della storia dovesse essere rimandata ancora, com’è possibile vista l’andamento economico americano, le forze inflattive di fondo continuerebbero ad avere effetti.
Più passano i mesi, più diventa chiaro che non c’è soluzione al problema dell’economia europea senza la fine della crisi energetica e il ritorno a una disponibilità di energia ampia e a basso costo. Senza questo solo una recessione grave consente la “sconfitta dell’inflazione”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.