Non sappiamo se nella costosa e decisamente brutta sede della Banca centrale europea di Francoforte ci crederanno, e smetteranno pertanto di produrre inutile recessione alzando i tassi ufficiali, ma l’inflazione sta continuando a rallentare in Europa, come si può comprendere se si esaminano con attenzione i numeri e non ci si lascia ingannare da alcune specificità del fenomeno dei prezzi. Prima di esaminare pertanto i dati preliminari che sono emersi ieri sull’inflazione europea e quelli relativi al nostro Paese, pubblicati dall’Istat, conviene una breve riflessione al riguardo.
Gli indici dei prezzi al consumo aumentano infatti nel tempo in maniera non regolare, risentendo sia di tendenze che possono essere più durature, sia di fattori stagionali che tuttavia non sono regolarissimi. A partire dagli indici si calcolano poi due differenti tassi di variazione: quello rispetto al mese precedente, chiamato anche tasso congiunturale; quello rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, chiamato anche tasso tendenziale.
Il secondo ha il vantaggio che dovrebbe eliminare il fattore della stagionalità, almeno la sua parte regolare; tuttavia, rappresenta una misura dell’aumento dei prezzi negli ultimi 12 mesi e dunque è molto condizionato da quanto è avvenuto negli 11 mesi che hanno preceduto quello di cui ci stiamo occupando. Talvolta i due numeri sembrano inoltre non dare informazioni convergenti. Un esempio è proprio agosto in riferimento all’Italia: per l’Istat ad agosto 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC), il quale include i tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente; è tanto o è poco?
Se si considera che nei due mesi precedenti, giugno e luglio, non vi era stato alcun incremento e l’indice NIC era rimasto assolutamente immobile (dunque +0,0%) sembrerebbe essere in corso una ripresa dei prezzi. Ma in realtà non è proprio così, se si considera che nell’agosto di un anno fa l’aumento fu doppio, +0,8%. Il minor incremento ha pertanto consentito una riduzione ulteriore del tasso tendenziale, che infatti è sceso al 5,5% dal 5,9 del mese precedente; tre mesi fa, a maggio, eravamo al 7,6%, oltre due punti sopra, e sei mesi fa, a febbraio, eravamo al 9,1%, tre punti e mezzo sopra.
Non dimentichiamo infine che negli ultimi tre mesi dello scorso anno il tasso tendenziale si era attestato pochi decimi sotto il 12%. Da allora in sostanza l’inflazione si è più che dimezzata, come ci si poteva aspettare essendo venuta quasi totalmente meno la principale causa che aveva avviato la fiammata dei prezzi, cioè l’alto prezzo dell’energia prodotto dalla guerra russa all’Ucraina.
E nei prossimi mesi l’inflazione resta destinata a contrarsi ulteriormente, in particolare nei mesi in cui lo scorso anno vi furono incrementi consistenti nell’indice dei prezzi. Dunque non settembre, in cui l’aumento mensile fu solo dello 0,3%, ma sicuramente ottobre, in cui la variazione mensile fu addirittura del 3,4%. A fine anno è probabile che l’inflazione tendenziale sarà tornata al di sotto del 3%, nella migliore delle ipotesi al 2,5%, un valore non distante da quel 2% al quale i banchieri centrali riescono a fare sonni tranquilli.
Ma vediamo più in dettaglio come è andato il mese di agosto, quali sono i comparti che sono cresciuti di più e quelli che sono cresciuti di meno. Rispetto al mese precedente sono tornati a crescere gli energetici, +1,7%, seguiti dagli alimentari lavorati (+0,8%) e dai beni durevoli (+0,4%); in diminuzione invece gli alimentari non lavorati (-0,5%) e i beni semi durevoli (-0,1%).
Rispetto allo stesso mese del 2022, invece, gli energetici sono lievemente più bassi, -0,1%, testimoniando il completo assorbimento dei rialzi che si manifestarono dopo l’estate dello scorso anno. A guidare l’inflazione sono i beni alimentari, +9,8% (ma in luglio era 10,5%), senza rilevante differenza tra gli alimentari lavorati (10,1%) e quelli non lavorati (9,2%). Il tendenziale dei beni diversi dagli energetici si è invece attestato al 4,1%, in diminuzione rispetto al 4,5 di luglio; infine il tendenziale dei servizi si è attestato al 3,6%, in diminuzione anch’esso rispetto al 4,1 di luglio.
L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rallenta ancora, dal 5,2 al 4,8%, così come quella al netto dei soli beni energetici, dal 5,5%, registrato a luglio, al 5,1. Invece l’inflazione acquisita per il 2023, quella che si realizzerebbe in media d’anno se l’indice dei prezzi restasse fermo al livello di agosto per la restante parte dell’anno, è pari al 5,7% per l’indice generale e al 5,2% per la componente di fondo.
Per quanto riguarda l’Europa l’inflazione sarebbe invece rimasta stabile in agosto nell’Eurozona al 5,3% già registrato in luglio, mentre quella di fondo, al netto di cibo ed energia, sarebbe scesa al 5,3% dal 5,5 del mese precedente. La mancata riduzione del tendenziale generale sarebbe dovuta alla parziale ripresa dei prezzi energetici che hanno riportato un aumento mensile del 3,2%, quasi doppio rispetto all’aumento italiano. Rispetto all’Italia è egualmente elevata l’inflazione tendenziale relativa ai beni alimentari mentre è maggiore quella relativa ai servizi (+5,5%).
In ogni caso anche l’inflazione europea calerà nei prossimi mesi ed è sperabile che a questo punto qualcuno informi adeguatamente la Bce e che essa rinunci a proseguire nella deleteria politica di incremento dei tassi, molto efficace nel produrre una dannosa recessione economica ma quasi del tutto ininfluente nel far calare un’inflazione che si sta già spegnendo di suo. Altrimenti tra qualche tempo i libri di storia monetaria, rendicontando l’attuale periodo, dovranno ricorrere a un esempio biblico, ricordando come l’attuale governatore della Bce si convinse a usare il diluvio contro un incendio immaginario al posto di limitarsi a controllare che l’estintore non fosse scaduto.
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